Come si arriva con pazienza al covo segreto del capo dello Stato islamico

Daniele Raineri

Perché i capi dell'Isis si fanno eliminare dai commando americani nella stessa zona 

Il capo dello Stato islamico, Abu Ibrahim al Qurashi, si è ucciso con l’esplosivo giovedì mattina durante un raid delle forze speciali americane a dieci chilometri dal luogo dove il precedente capo dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, si era ucciso con l’esplosivo durante un raid delle forze speciali americane nell’ottobre 2019. A questo punto la domanda è d’obbligo: perché entrambi avevano scelto quella zona per nascondersi? Di che tipo di appoggio godevano? I villaggi dei due raid, Atmeh e Barisha, sono entrambi vicino al confine turco nella regione di Idlib, che da anni è dominata dalla presenza di una fazione jihadista che si fa chiamare Hayat Tahrir al Sham conosciuta anche con la sigla Hts. Prima però di balzare a conclusioni come “erano lì grazie all’appoggio della Turchia” oppure “erano protetti dai miliziani di Hayat Tahrir al Sham” è necessario chiarire un po’ di cose. 

 

Il confine turco è vicino – tanto che nel video notturno del raid contro il covo si vedono le luci delle città turche sullo sfondo – ma come ci spiega una fonte da Atmeh la gente non può attraversare il confine. C’è un muro di cemento lungo centinaia di chilometri sorvegliato da soldati armati, messi lì dal governo turco proprio per evitare che dalla Siria qualcuno possa spostarsi in Turchia. Inoltre il volo degli elicotteri e dei droni americani così a filo del confine durante il raid dev’essere stato coordinato in qualche modo con i militari turchi, per evitare malintesi che potrebbero portare i turchi a sparare. Infine: i giornali americani raccontavano ieri che l’intelligence americana ha scoperto la posizione di al Qurashi lo scorso autunno e una ipotesi è che sia successo grazie all’arresto in Turchia di Sami al Jubouri, l’uomo più alto in grado dello Stato islamico dopo al Qurashi – si occupava delle finanze ed era in contatto stretto per ovvi motivi con il capo. L’intelligence irachena catturò al Jubouri in Turchia grazie a un’intesa con l’intelligence turca. In breve: lo stereotipo “Turchia alleata sottobanco dello Stato islamico” non funziona in questa storia. E veniamo a quelli di Hayat Tahrir al Sham. Sono la reincarnazione di Jabhat al Nusra, un gruppo estremista che nell’aprile 2013 si è separato dallo Stato islamico (dal 2011 al 2013 era stato una sigla di comodo per coprire la presenza dello Stato islamico in Siria) e dal luglio 2016 si è separato da al Qaida.

 

Come spiega al Foglio uno dei migliori specialisti di quest’argomento, Aaron Zelin del Washington Institute, “Hts e lo Stato islamico sono nemici e il servizio di sicurezza di Hts ha rivendicato almeno ventuno retate dal 2017 contro cellule dello Stato islamico nella regione di Idlib”. Hts si comporta come un servizio di sicurezza contro lo Stato islamico. E infatti “negli anni scorsi aveva contatti sottobanco con l’Amministrazione Trump”. Al punto che nella regione si sospetta che i raid americani con i droni che ogni tanto colpiscono i ricercati di al Qaida e le due operazioni delle forze speciali americane per eliminare i due capi dello Stato islamico nel giro di tre anni siano avvenuti nell’indifferenza di Hts, se non proprio grazie alla sua complicità. “Non si sa – dice ancora Zelin – se questi contatti ci sono anche con l’Amministrazione Biden”. Hts sarebbe nella regione di Idlib quello che i talebani sono in Afghanistan: fazioni estremiste ma nemiche dello Stato islamico. E allora perché Abu Bakr al Baghdadi e Abu Ibrahim al Qurashi, i due leader supremi del gruppo terroristico più temuto al mondo, si sono fatti trovare in quella zona? Da anni Idlib è la destinazione di tutti i rifugiati siriani in fuga dalla guerra che non vogliono tornare nelle zone controllate dal regime di Assad. Circa tre milioni di persone, che rendono la regione un ingorgo caotico. E più si sale verso il confine turco e più si è riparati dai colpi di artiglieria e dai bombardamenti sui civili che talvolta avvengono nel resto della regione – gli aerei non si avvicinano al confine turco per minimizzare il rischio di scontri diplomatici. Sfruttavano l’affollamento.

 

Non è stato spiegato ancora come gli americani sono arrivati al covo, se non “grazie a una soffiata”. Due funzionari anonimi dicono al New York Times una cosa interessante: che Abu Ibrahim al Qurashi per comunicare non usava mezzi elettronici – cautela elementare per non farsi individuare – e si affidava a corrieri. Quindi l’intelligence americana ha notato e probabilmente seguito corrieri. Oltre alla pista dell’arresto di al Jubouri (perché ogni arresto così importante porta conseguenze a raggiera) c’è la pista dell’assalto alla prigione di al Hasaka, città nell’est siriano, da parte dello Stato islamico. I preparativi sono cominciati sei mesi fa – un camion bomba è stato scoperto in città a novembre – e anche in quel caso è possibile che ci siano stati corrieri che portavano comunicazioni. I corrieri sono più sicuri delle comunicazioni con telefoni e computer ma se li si riconosce, con pazienza, si risale a ritroso fino al covo.
 

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)