L'America si allarma per le truppe russe al confine ucraino, ma dimentica il Donbass

Micol Flammini

Gli americani temono un’invasione tra gennaio e febbraio, Putin nega. Mentre l'intelligence di Washington guarda con insistenza ai confini di Kiev, nelle repubbliche separatiste va avanti un'annessione lenta e graduale da parte di Mosca

Da alcune settimane l’intelligence americana continua ad allertare l’Ucraina con la notizia che la Russia sta posizionando nuove truppe lungo il confine tormentato e poroso tra Kiev e Mosca. L’Ucraina inizialmente aveva detto che non si era accorta di nulla e  che le truppe segnalate dagli americani erano le stesse che Mosca aveva ammassato la scorsa primavera e aveva ritirato soltanto in parte. Ma l’allerta americana è aumentata e gli Stati Uniti denunciano la possibilità di un’invasione russa dell’Ucraina tra gennaio e febbraio. Il presidente, Vladimir Putin, ha detto che non ha intenzione di attaccare l’Ucraina e che non vuole una guerra, ma ha accusato la Nato di cercare di minare la sicurezza della Russia aumentando la sua presenza nel Mar Nero.


 L’Ucraina è interessata a entrare nella Nato, ma l’Alleanza atlantica vuole nuove rassicurazioni da parte di Kiev, vuole riforme e sicurezze, e per adesso il territorio ucraino è il termometro dei rapporti tra Russia e occidente e neppure l’incontro tra Joe Biden e Putin a Ginevra è riuscito a calmare la situazione. Una piccola cronologia degli avvenimenti dal 16 giugno, giorno dell’incontro tra i due presidenti, mostra bene cosa succede nell’area: un incidente militare nel Mar Nero tra marina britannica e soldati russi; una legge ucraina per negare ai russi che vivono sul suo territorio lo status di comunità indigena; un drone turco è stato utilizzato dall’esercito di Kiev per colpire le forze filorusse nel Donbass. Questi sono soltanto tre fra gli avvenimenti più eclatanti, ma mentre l’intelligence americana guarda con insistenza i confini dell’Ucraina, c’è poca attenzione per quello che sta già accadendo dentro ai confini: una lenta e costante annessione. 

 

Nel Donbass dal 2014 le truppe filorusse sostenute da Mosca combattono contro l’esercito regolare di Kiev, è una guerra lunga che finora ha causato più di diecimila morti. Oltre alle azioni militari – sempre negate da parte della Russia – il Cremlino ha anche dato il via a una serie di mosse politiche ed economiche che servono ad avvicinare sempre di più la regione alla Russia. E’ un processo graduale, non drastico come l’annessione della Crimea nel 2014, ma in questi anni Mosca ha creato nei territori del Donbass un gruppo consistente di nuovi  cittadini russi, con passaporto russo e che nelle ultime elezioni di settembre, per rinnovare la Duma, hanno votato assieme al resto della popolazione russa. Le autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk stanno di fatto diventando russe. Putin ora teme che l’esercito di Kiev voglia cercare di riprendere il Donbass e l’uomo del Cremlino nell’area, Dmitri Kozak, ha detto che qualsiasi tentativo di avanzare comporterebbe la fine dello stato ucraino: l’esempio che si fa più spesso è quello dell’Ossezia del sud, quando l’allora presidente georgiano Mikhail Saakashvili tentò una riconquista del territorio e la Russia ci mise una notte a rispondere. Putin vuole che a est si mantenga lo status quo, che la guerra costante al confine non smetta di tormentare l’Ucraina, che di fatto si trova a essere una nazione lacerata, e che l’annessione proceda così: lentamente e per logoramento. Gli europei hanno contattato il presidente russo per dire che sono pronti a intervenire in caso di un attacco all’Ucraina, svedesi e britannici hanno detto che manderanno soldati a fare esercitazioni congiunte assieme ai soldati ucraini. Ieri c’è stato anche un colloquio telefonico tra il presidente del Consiglio Mario Draghi e Vladimir Putin, in cui i due  leader hanno affrontato anche l’argomento ucraino. Sia da parte della Russia, sia da parte dei paesi occidentali, l’importante è mostrare all’avversario che si è pronti a intervenire. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.