Tutti gli impegni della Colombia

Maurizio Stefanini

La vicepresidente e ministro degli Esteri Ramírez ci racconta i suoi piani per il paese, che vuole risolvere i problemi interni, come il narcotraffico, ma anche contare nella regione: "Siamo in prima linea a ricevere migranti dal Venezuela"

A Roma per la X conferenza Italia-America latina e Caraibi che si è tenuta il 25 e 26 ottobre a cura del ministero degli Esteri e dell'Istituto italo-latino americano (Iila), la vicepresidente e ministro degli Esteri della Colombia Marta Lucía Ramírez ha colto l'occasione per presenziare anche alla cerimonia con cui è stata dedicata una via di Villa Borghese a Gabriel García Márquez. “La segretaria dell’Iila Antonella Cavallari mi ricordava che l’Italia non ha materie prime, ma ha come proprio grande asset la cultura. Noi in Colombia di materie prime invece ne abbiamo, ma un personaggio come Gabriel García Márquez dimostra come asset del genere li abbiamo anche noi. Forse non è un caso se questo scrittore ha soggiornato proprio a Roma, in un periodo così importante per la sua formazione”.

 

Purtroppo però la Colombia viene ricordata nel mondo soprattutto per il narcotraffico. “Il governo colombiano assume in pieno l’impegno di combattere il narcotraffico dalla sua origine, però questa battaglia non può essere vinta se non si riduce la domanda nei paesi sviluppati e se non si dà ai contadini colombiani la possibilità di progredire. Bisogna aumentare la produzione della campagna colombiana, immetterci valore aggiunto e aprire i mercati, in modo da dare ai contadini buone entrate. Per questo bisogna investire. Combattere il narcotraffico significa anche salvaguardare le nostre risorse naturali, dal momento che è la principale causa di deforestazione in Colombia, con la distruzione di centinaia di migliaia di ettari per coltivarci la coca. Sconfiggere i narcos è fondamentale, se vogliamo diventare un paese leader nella riduzione dell’emissione dei gas a effetto serra”, dice la ministra.

 

Narcotraffico a parte, in questo momento l’America latina è l’area più colpita del mondo dal Covid. “È molto triste e lamentevole che l’America latina abbia quasi il 33 per cento dei morti per il Covid di tutto il mondo. Ciò mostra che purtroppo non c’è stato accesso ai vaccini in America latina come nei paesi sviluppati, e che bisogna investire di più in scienza e innovazione. Soprattutto da parte delle grandi case farmaceutiche, che devono fare alleanze strategiche in modo da promuovere di più i vaccini in aree dove troppa gente non si è vaccinata in tempo. Per fortuna alcuni paesi dell’America latina hanno progredito molto di più nelle vaccinazioni, e questo è il caso della Colombia. Al massimo a dicembre avremo il 70 per cento della popolazione vaccinata, e l’immunità di gregge. Ma ci sono paesi che non hanno potuto vaccinare più del 20-25 per cento”.

 

In parte provocata da questa emergenza ma anche per cause precedenti, c’è in tutta l’America latina una situazione di emergenza democratica. Ci sono involuzione autoritarie. Ci sono proteste in paesi con governi di tutti gli orientamenti politici, Colombia compresa. C’è effettivamente un pericolo per la democrazia nella regione? “Purtroppo questo è un momento in cui c’è da fare attenzione per la democrazia nel mondo intero, con una instabilità diffusa non solo in America latina. Pensiamo ai gilet gialli in Francia. Molti cittadini in vari paesi del mondo ritengono che i governi abbiano gestito male la pandemia, e in alcuni casi è vero. Per questo come governi dobbiamo cercare di essere più efficienti, per garantire meglio l’accesso dei cittadini a diritti e opportunità. Ma c’è bisogno anche di una miglior cittadinanza, che partecipi di più e che sia anche in grado di creare più impresa e più impiego. La responsabilità per lo sviluppo e la creazione di impiego non può ricadere solo sullo stato, ma c'è bisogno che facciano la loro parte anche società civile, accademia e cittadinanza”.

 

Un dramma in America latina è in particolare quello del Venezuela. “Un grande dolore per tutta l’America latina", ci dice Ramírez. "Era uno dei paesi più ricchi del mondo e oggi è diventato uno dei più poveri, per via di un populismo che è arrivato a distruggere tutto. Per questo oggi il Venezuela è, con la Siria, uno dei due paesi a mondo che più espellono la propria cittadinanza. La migrazione dei venezuelani nel mondo intero è una cosa che ci addolora tutti, la Colombia è in prima linea a ricevere migranti dal Venezuela, ma non possiamo riceverli tutti. Non siamo un paese ricco. A due milioni di abitanti del Venezuela il presidente dunque ha dato uno statuto di protezione temporale, ma bisogna che tutti i paesi del mondo abbiamo una risposta simile di fronte a questa crisi migratoria che viene oggi dalla Siria, da Haiti, dal Venezuela, e non sappiamo se nel futuro ci saranno altri paesi. Tutti dobbiamo continuare a crescere, continuare a generare occupazione e continuare a ricevere anche solo percentualmente una quota anche molto piccola della migrazione che c’è nel mondo intero. Perché si inseriscano, perché abbiano opportunità di lavoro e perché sentano di dovere gratitudine verso le società che hanno aperto loro la porta”.