La Colombia è sempre più contro Duque

Maurizio Stefanini

Dopo la riforma tributaria e le violenze della polizia gli Stati Uniti osservano con attenzione le proteste. Il presidente colombiano cerca di recuperare con un'intervista alla Cnn, in cui ammette gli abusi delle forze dell'ordine e dice di voler dialogare con i giovani 

“Legge di solidarietà sostenibile” si chiamava il progetto di riforma tributaria che il governo colombiano aveva presentato lo scorso 5 aprile con l’obiettivo di raccogliere almeno 25.000 miliardi di pesos per far fronte all’emergenza Covid e al futuro sforzo per tornare alla normalità. Al cambio, più o meno 6,850 miliardi di dollari. L’aumento di tasse proposto da un presidente di destra ha portato a una mobilitazione di piazza che è stata pompata dalla sinistra anche radicale, che ha costretto il governo a ritirare la legge, e il ministro proponente a dimettersi. Ma intanto negli scontri tra Polizia e manifestanti si era registrato un considerevole numero di vittime. Di 42 morti e 168 sparizioni è l’ultimo bilancio fatto dalla Defensoría del Pueblo de Colombia: che non è una ong di rompiscatole, ma un organo ufficiale e indipendente creato dalla Costituzione del 1991 sul modello degli Ombudsman scandinavi. E lo stesso presidente Iván Duque in una intervista alla Cnn ha ammesso che sono in corso 65 indagini per abusi delle forze dell’ordine. “Ho sempre difeso il diritto alla protesta pacifica e lo ho garantito”, ha detto a  Christiane Amanpour, insistendo sulla “tolleranza zero” verso gli abusi. Ma ha pure spiegato che “in alcuni luoghi del paese si è visto che la gente ha trasformato la sua libertà di espressione in atti vandalici e delittuosi”.  E ciò è in effetti quanto si era visto anche in Europa con i Gilet Gialli francesi, oltre che con le proteste in Cile e in Ecuador. In Colombia si è accusato di aver soffiato sul fuoco agenti dell’ala delle Farc che si è svincolata dagli Accordi di pace, ma in questo tipo di proteste c’è comunque un evidente effetto imitativo, che corre attraverso le immagini in tv e i Social.

 

Altra cosa che c’è in comune tra Gilet Gialli e le proteste in Cile, Ecuador e Colombia è l’impopolarità di misure presentate in chiave di transizione ecologica: in Francia la carbon tax; in Cile un aumento dei biglietti della metro negli orari di punta; in Ecuador un aumento della benzina; in Colombia si parlava di aumento sui carburanti, carbon tax e plastic tax in una volta. Oltre a ciò, però, nella riforma tributaria di Duque c’erano un tipo di misure normalmente associate al tipo di sinistra che vuole che “anche i ricchi piangano”.  In particolare, per il 2022 e 2023 era prevista una patrimoniale dell’1 per cento per i detentori di patrimoni oltre gli 1,35 milioni  dollari e del 2 per cento oltre i 4 milioni, più una imposta aggiuntiva “temporale e solidaria” nel secondo semestre del 2021 a tutti i percettori di stipendi oltre i 10 milioni di pesos al mese. 2765 dollari. Anche l’Iva del 19 per cento per le forniture di energia, gas, acqua e fognature sarebbe stata introdotta solo per i redditi più alti.

 

Assieme a ciò, però, c’era l’introduzione dell’obbligo della dichiarazione per fasce di reddito finora esenti: oltre i 663 dollari nel 2022, oltre i 470 nel 2023. In un paese dove il salario minimo è sui 248 dollari, è bastato ciò a scatenare la sommossa. Statistiche ufficiali spiegano che per effetto del Covid nel 2020 la povertà è aumentata del 42,5 per cento, che un altro 30 per cento è in  condizioni di vulnerabilità economica, e che la disoccupazione è salita del 5 per cento. Insomma, tre colombiani su quattro non ce la fanno più, e temono che ogni minimo aggravio si riveli insostenibile. Varie indagini segnalano anche che dopo il processo di pace è venuta meno quella repulsione diffusa verso il terrorismo delle Farc che dominava il quadro politico. Lo stesso presidente Duque è esponente del partito di Álvaro Uribe Vélez, ed è stato eletto come espressione di quella maggioranza della popolazione che al referendum sull’accordo di pace votò no. Ma ormai bene o male quel dossier è andato in archivio, la gente ha iniziato a percepire il problema di una società che è la seconda più diseguale dell’America Latina, e la pandemia ha accresciuto questa percezione. Da tempo i sondaggi segnalano che per le prossime presidenziali sarebbe in testa il leader della sinistra radicale Gustavo Petro, che alle scorse presidenziali fu sconfitto da Duque. Per questo Petro sta radicalizzando lo scontro ed ha rifiutato un invito al negoziato fatto dal presidente. Sul punto c’è un duro scontro con l’altra ala della sinistra di cui è esponente il sindaco di Bogotá Claudia López, che lo ha accusato di mandare ragazzini in strada a scontrarsi con la Polizia e a fare atti vandalici mentre lui resta al sicuro, ed è stata contraccambiata a insulti. 

 

Ma il punto è anche se le forze dell’ordine colombiane non siano troppo abituate ad affrontare guerriglieri e narcos, per comprendere le differenti esigenze di affrontare manifestanti, ancorché infiltrati da violenti e teppisti. Forse non è un caso se l’intervista di Duque alla Cnn è venuta a ruota di un duro servizio che questionava lo stile delle forze dell’ordine colombiane uscito su una testata considerata autorevole in tutto il mondo come il New York Times. C’è stato anche il senatore statunitense Patrick Leahy che via Twitter ha ricordato il modo in cui gli Stati Uniti hanno speso miliardi per aiutare la costruzione di uno stato di diritto in Colombia, e che “la violenta risposta poliziesca del governo colombiano verso manifestanti in gran parte pacifici” mostra come “lo stato di diritto continua a essere fragile”.   

 

Duque ha comunque insistito sul fatto che vuole dialogare con i giovani che protestano. A loro si è detto sicuro “che questo anno sarà l’anno del recupero economico in Colombia” e che “già nel primo trimestre di questo anno avremo una crescita positiva”.

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