In Germania Cdu e Verdi hanno voglia di resa dei conti

Micol Flammini

Aumentano gli attacchi a Laschet e a Baerbock. I conservatori vogliono che il loro candidato faccia un passo indietro e aumentano la pressione. Gli ecologisti usano toni più concilianti, ma si intravedono le prime crepe. Le voci sulla scelta di Habeck per la vicecancelleria

Dalle elezioni tedesche sono uscite due tipologie di sconfitti. Gli sconfitti veri: la Cdu di Armin Laschet. E gli sconfitti percepiti,  che comunque andranno le trattative  sono determinati a  diventare parte del prossimo esecutivo federale: i Verdi di Annalena Baerbock. A unire i due partiti è la voglia, più o meno sottesa, più o meno irruenta, di resa dei conti interna, perché tutti e due credono che a determinare la sconfitta, reale o percepita,  sia stato l’aver scelto un  candidato sbagliato. Tra i conservatori, gli eredi di Angela Merkel che hanno ottenuto il risultato peggiore della loro storia, la lotta è più accesa e il numero di chi, tra la Cdu e la sorella bavarese Csu, vuole un passo indietro da parte di Laschet aumenta di giorno in giorno.

Ieri Markus Söder, leader della Csu che avrebbe voluto essere candidato al posto di Laschet, ha detto  che è il socialdemocratico Olaf Scholz ad avere le possibilità maggiori per diventare cancelliere, gli ha fatto le congratulazioni che Laschet invece non gli ha ancora voluto fare. “Fare le congratulazione è questione di stile”, ha detto Söder. Dalla Csu arrivano le critiche più accese, pretendono una rimozione immediata, ma ad attaccare Laschet sono in tanti anche dalla Cdu. Il ministro della Salute Jens Spahn, che in primavera si pensava si sarebbe candidato  assieme a Laschet, ha detto che è ora di  un cambio generazionale dentro al partito. In tanti invocano nuove facce, nuove politiche, una “riabilitazione rapida” che inizi proprio con la rimozione di Armin Laschet che per ora si volta dall’altra parte, continua a sperare nel fallimento dei negoziati tra Spd, Verdi e Liberali per fare la sua proposta color Giamaica.  Ma è sempre più solo. Ne ha avuto ieri la dimostrazione durante il primo incontro post elettorale per scegliere il nuovo leader del gruppo parlamentare dell’Unione (Cdu e Csu), in cui il mantra dei presenti è stato fare il contrario di quello che Laschet avrebbe voluto. 

Tra i Verdi c’è la tendenza a gestire i malumori in casa, limitando le dichiarazioni pubbliche e soprattutto facendo apparire tutte le decisioni come condivise, naturali, pacifiche. Annalena Baerbock ha ammesso di aver commesso molti errori, ma rispetto alle elezioni di quattro anni fa, i Verdi hanno quasi raddoppiato i voti. Non si può parlare di sconfitta, ma in tanti sono delusi, e proprio come tra i conservatori, sono convinti che la responsabilità sia della loro candidata. A tavolino, proprio come avevano deciso chi si sarebbe candidato alla cancelleria, Baerbock e il suo compagno di leadership Robert Habeck pare abbiano deciso che nel futuro governo sarà lui, e non lei, a diventare vicecancelliere. Lei, dicono nel partito, la sua chance l’ha avuta. Ma lo scontro che più si teme è quello tra le due anime del partito, tra i radicali e i realisti. I primi rimproverano ai secondi di aver fallito, che è arrivato il momento di cambiare linea. I radicali contestano non soltanto la Baerbock ma anche Habeck, contestano il duo  così affiatato ma impenetrabile, il loro modo di prendere decisioni chiusi in una stanza senza coinvolgere il resto del partito. Il duo rimane unito, Baerbock si prende le accuse e Habeck cerca di addolcire la delusione nata dall’aver sperato troppo nella cancelleria. Ma ha il sapore di una resa dei conti più morbida rispetto a quella dei conservatori che non vedono l’ora di sbarazzarsi di Laschet. Tanto è alta l’attenzione per quel che accade all’interno dell’Unione che si fa fatica a vedere la determinazione con cui i socialdemocratici stanno invece accelerando i tempi per dare il via ai negoziati che, assicurano, inizieranno già questa settimana. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.