negli stati uniti

Biden non rinnoverà i sussidi per la disoccupazione creata dal Covid-19

Luciana Grosso

La misura era stata presa dal governo Trump nel marzo 2020 e poi rifinanziata nel marzo 2021 fino a oggi. Sospenderla avrà gravi conseguenze sociali e politiche 

C’è un nuovo problema per l’Amministrazione Biden. Un problema che i suoi elettori sentono assai più vicino e grave di quanto non accada per l’Afghanistan, e che potrebbe avere, a un anno dalle elezioni di MidTerm, conseguenze molto pesanti sia per il consenso del Partito democratico, sia (ed è molto più importante) per le vite degli americani: i sussidi per la disoccupazione creata dalla crisi Covid non saranno rinnovati. Si tratta di quattro misure diverse (indennità federale di disoccupazione pandemica; indennità di disoccupazione di emergenza pandemica; indennità di disoccupazione dei lavoratori misti; assistenza alla disoccupazione pandemica) che fornivano, in vario modo e a vario titolo, aiuto a chi ha perso il lavoro o si è trovato in miseria per effetto della crisi Covid (inclusi, per esempio i lavoratori della Gig economy, trovatisi senza lavoro nè tutele). 

La misura era stata decisa dal governo Trump nel marzo 2020 ed era stata poi rinnovata, nel marzo 2021, dal congresso a trazione Biden con la clausola che proseguisse fino al 6 settembre, o fino a quando il tasso di disoccupazione fosse stato superiore al 6,5 per cento. Il 6 settembre è arrivato e la disoccupazione è al 5,2 per cento. Il che significa che la misura può o deve essere tolta. La differenza tra ‘potere’ e ‘dovere’ non è sottile, perché il fatto che il sussidio (circa 300 dollari a settimana) non venga rinnovato ha varie conseguenze, sia sociali che politiche. 

Quelle sociali sono le più pesanti di tutte, perché secondo le stime, dal prossimo lunedì circa 7 milioni di americani resteranno senza nessun tipo di entrata. Non solo, ma la fine dei sussidi si somma a tre elementi. Il primo è la decisione della Corte suprema di dichiarare incostituzionale (e dunque di impedire) la moratoria sugli sfratti dell'amministrazione Biden che, se fosse andata a buon fine, avrebbe tutelato circa 6,4 milioni di famiglie che non sono più in regola con l’affitto e che ora rischiano lo sfratto. Il secondo è che l’arrivo e il proliferare della variante Delta ha rallentato (se non addirittura fermato) la ripresa economica, impedendo la ripresa dell’occupazione che tutti si aspettavano per settembre: per avere un'idea, basti pensare che secondo i dati diffusi venerdì dal Bureau of Labor Statistics, ad agosto sono stati creati 235.000 posti di lavoro, un drastico calo rispetto agli 1,1 milioni di posti di lavoro creati a luglio e ben al di sotto delle proiezioni degli economisti che speravano in 733.000 posti di lavoro. Il terzo è che sta arrivando l’inverno, e inevitabilmente, il Covid riprenderà forza e vigore, e arriveranno chissà quali varianti che potrebbero peggiorare nuovamente la situazione.

Il Washington Post descrive bene la situazione di chi, per sopravvivere, dipende da questi sussidi che non ci sono più: “In mezzo ci sono milioni di americani che hanno fatto affidamento su questi programmi federali generosi ma temporanei per pagare i conti da quando il coronavirus ha spazzato per la prima volta la nazione nel marzo 2020. Con meno protezioni federali a loro disposizione, le difficoltà finanziarie che devono affrontare potrebbero solo intensificarsi, soprattutto perché nuove varianti minacciano di chiudere le imprese e le scuole – e di invadere gli ospedali di pazienti – nelle comunità già devastate dalla pandemia”.

Vanno considerate anche le conseguenze politiche che, anche se meno pesanti, non sono da trascurare perché che rischiano di erodere la base elettorale che ha permesso a Biden di vincere lo scorso novembre e la cui forza principale era stata, a suo tempo, quella di essere incredibilmente ampia.

Ora allo storcere il naso degli elettori più colti e delle grandi città, delusi dalla faccenda Afghanistan, potrebbe aggiungersi la perplessità e la delusione di poveri e disoccupati che, a conti fatti, vedono Biden togliere loro quel che Trump aveva invece dato. Non solo: c’è poi la questione degli equilibri interni, che sono complicati fin dal primo giorno e che ora lo sono persino di più con la prima divergenza nota ed esplicita tra Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders.  La questione è molto facile a raccontarsi: la fine dei sussidi ha spaccato non solo il partito tra moderati e progressisti, ma ha anche diviso la fazione progressista – in genere molto coesa: da un lato ci sono Bernie Sanders e Elizabeth Warren che (almeno sino ad ora) non si sono espressi in nessun modo contro la decisione di Biden, consapevoli forse del fatto che un rinnovo dei sussidi dovrebbe passare al Senato. Cosa che con i numeri a disposizione, appare impossibile. Dall’altro invece c’è Ocasio-Cortez che, con le altre deputate della ‘squad’ di estrema sinistra Ilhan Omar e Cori Bush, ha avuto toni molto espliciti sia nel criticare la decisione del governo sia nel chiedere un rinnovo dei sussidi. 

Un quadro composito dunque, nel quale Biden si ritrova a prendere, in meno di un mese, la seconda difficile decisione del suo mandato. Nel caso dell’Afghanistan ha deciso di andare avanti secondo i piani, senza voltarsi indietro. In quello dei disoccupati americani potrebbe decidere di agire diversamente, ma è improbabile lo faccia. Biden ha scommesso tutto sulla ripresa ed è convinto che, prima o poi, arriverà e soffierà via la crisi. Da oggi 7 milioni e mezzo di americani aspettano con lui. 

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