"Tra virgolette"

L'occidente in Afghanistan ha aperto le porte al proprio fallimento

Pubblichiamo la traduzione dell’intervista a Olivier Roy “On a sous-estimé la stratégie des talibans”, apparsa su Ouest France

"L’ascesa dei talebani era prevista, prevedibile e persino incentivata, poiché gli americani stavano negoziando con loro in base al principio che sarebbero stati la maggioranza nel prossimo governo. Quello che ha sorpreso tutti, a cominciare dagli americani, è stato il crollo dell’esercito afghano in pochi giorni. Sappiamo perché è collassato, ma la velocità del processo ha sorpreso”. Così esordisce Olivier Roy, politologo, specialista di islam e Afghanistan, fornendo  a Laurent Marchand del quotidiano Ouest France la sua analisi sul perché abbiamo sottovalutato la strategia dei talebani. Secondo Roy l’esercito afghano è collassato perché ha un po’ subito la dinamica della Francia nel 1940: “Dal momento in cui un intero capitolo crolla, il resto segue”. Sulle nostre sottovalutazioni, afferma: “Pensavamo che i talebani stessero essenzialmente giocando sull’usura, e che non avessero alcuna strategia offensiva, che semplicemente preferissero trarre vantaggio dalla caduta del regime e dalla partenza degli americani. E che stavano prendendo parte a una transizione politica che costava loro meno e che risparmiava loro il calvario della guerra. Il punto in cui ci siamo resi conto che c’era una strategia è stato quando alcune settimane fa hanno iniziato a occupare i posti di frontiera e a bloccare alcuni passaggi. In modo intelligente. Hanno preso tutti i posti attraverso i quali passano i rifornimenti dell’Afghanistan, in modo coordinato. A Kandahar, a Herat, ma anche al confine con il Tagikistan... Poi hanno cominciato a prendere i capoluoghi di provincia uno per uno”.


La corruzione poi è un altro aspetto. Roy racconta come i talebani abbiano una vera strategia di negoziazione con le forze locali, non necessariamente per corruzione, tra l’altro. “E’ più complesso. Sono andati a trovare i capi che conoscono. Siamo di fronte a una società caotica, certo, ma strutturata. Le persone hanno delle relazioni, di vicinato, matrimoniali, tribali, di clan... I talebani hanno giocato sulle dinamiche del crollo garantendo un’uscita onorevole agli altri attori. Promesse di denaro, di amnistia, di cooptazione. Ha funzionato perché ha già funzionato, in realtà. Da una parte non ci sono i malvagi terroristi islamisti e dall’altra la povera popolazione afghana martirizzata; c’è una società che ha le sue regole, dove le persone si uccidono tra di loro ma anche dove opera tutto un sistema di alleanze che non corrispondono a regole ideologiche”. 


Per il politologo si tratta di un amaro fallimento per tutto l’occidente. Il primo fallimento è stato l’incapacità di costruire uno stato stabile in Afghanistan.  Sul perché non abbiamo visto arrivare questa trappola, dà due opzioni: “O l’intelligence militare non funzionava, e gli americani non si sarebbero accorti che l’esercito afghano non esisteva. Oppure lo sapevano perfettamente ma, per ragioni politiche, hanno deciso di non parlarne”. Quest’ultima è l’ipotesi più accreditata: “Dalla base possono arrivare resoconti molto lucidi e, per ragioni politiche, vengono taciuti”.  Sul cambiamento dei talebani, rimane scettico. “Si sono evoluti politicamente, ma sociologicamente non credo. C’è una continuità nella leadership poiché tutti i leader di oggi erano già presenti ai tempi del mullah Omar vent’anni fa. Possiamo però pensare che si siano evoluti politicamente. Nel 2011 ci sono state trattative tra gli afghani a Parigi, a Chantilly, e io facevo parte della delegazione francese. I talebani erano presenti all’ultimo incontro. Erano in fase di negoziazione. Perché hanno imparato la lezione del 2001”. Per Roy nel 2001 è stato l’11 settembre a portarli alla sconfitta. Altrimenti, sarebbero ancora al potere. “Contrariamente a quello che la gente vuole farci credere, non siamo intervenuti per salvare le donne afghane, ma per vendicare l’11 settembre e liberarci di Bin Laden. Poi, abbiamo dovuto impedire il ritorno dei talebani e creare uno stato stabile. Ma il fallimento era visibile fin dall’inizio. Una ragione chiave è la corruzione”. Roy spiega come la corruzione sia potentissima: gli americani hanno versato migliaia di miliardi di dollari in uno dei paesi più poveri del pianeta. I comandanti americani sono stati paracadutati con valigie di denaro,  è stato comprato tutto. Una classe corrotta  si è impadronita del paese e Karzai ne faceva parte. L’attuale presidente, ormai fuggito dall’Afghanistan, no, ma non ha lottato contro questo flagello. 


I talebani hanno provato a vendere un’immagine di loro stessi molto diversa rispetto a quella di vent’anni fa, un bluff al quale è ancora più pericoloso credere. Non solo per quanto riguarda i diritti, ma anche sull’eventualità che il paese torni a essere un un santuario per le organizzazioni terroristiche.  Secondo Olivier Roy no. “Penso che i talebani abbiano compreso che questa è la condizione per la loro normalizzazione. Certo, hanno vinto e potrebbero benissimo non mantenere le promesse che hanno fatto. Ma non credo che lo faranno. Vogliono normalizzarsi a livello internazionale, vogliono essere riconosciuti come un governo legittimo. Ecco perché il paragone con Saigon e la fuga dal Vietnam è sbagliato”. Riguardo le loro richieste, i talebani chiedono alle ambasciate di restare. Se promettono di non ospitare organizzazioni terroristiche internazionali, il loro governo sarà riconosciuto. E le donne afghane andranno in malora. Secondo Roy “daranno impegni sulla questione della sicurezza, per avere mano libera in Afghanistan”.


E il Pakistan? “Ha sostenuto i talebani fin dall’inizio. L’ossessione dei servizi segreti pachistani per 25 anni è stata quella di mantenere i talebani al potere a Kabul”. Roy dice di non volersi sbilanciare, ma non lo sorprenderebbe se il piano di chiudere le frontiere e conquistare i capoluoghi di provincia fosse stato architettato dai pachistani. E la porosità con il confine pachistano sicuramente è una fonte di pericolo per i terroristi. “Ma i pachistani hanno un problema con i loro talebani. La zona di confine, nessuno la controllerà comunque”.  L’Afghanistan è un paese molto particolare con tradizioni bellicose. Ciò che è paradossale per l’esperto è che ciò che rende forte questo paese è la sua debolezza: tutte le sue divisioni tribali, in clan, geografiche e familiari fanno sì che sia un paese che può essere governato solo dal consenso e da una relazione flessibile tra il centro e la periferia. “La monarchia afghana tra il 1933 e il 1973 ebbe successo. Ci sono stati quarant’anni in cui è riuscita a trovare questo equilibrio. Poi è stata la Guerra fredda a ucciderlo, le tensioni tra americani e russi. Dopo i  russi hanno fatto l’errore di invadere, e a seguire gli americani hanno fatto lo stesso. Nessuno dei due riuscì a costruire  un potere centrale stabile”. 


Riguardo all’arrivo di altre potenze Roy è scettico, anche riguardo dei cinesi. “I cinesi vogliono due cose: che i talebani non sostengano gli uiguri – e penso che abbiano tutte le garanzie  – e vogliono le materie prime, come il rame e altre. Hanno comprato enormi concessioni. Ma il ragionamento dei cinesi è che, indipendentemente da chi governa a Kabul, questo paese non è controllabile”. Anche i francesi hanno degli interessi, in questo momento  piuttosto simbolici. Dice che quella tra la Francia e l’Afghanistan “è una storia passionale, da quando i francesi si sono visti affidare l’archeologia afghana nel 1920. C’è sempre stata una relazione piuttosto emotiva, basata su legami culturali molto stretti. Il liceo francese funzionava davvero bene e formava molte élite, il re era francofono. La guerra in Afghanistan ha rafforzato questa vicinanza perché le ong francesi erano dominanti. C’è stato il sostegno a Massoud, le campagne per le donne... Ma, per le questioni geostrategiche, c’è molto meno”.


Riguardo al patrimonio culturale dell’Afghanistan, l’opinione di Roy è che sia di nuovo in pericolo. Non soltanto a causa dell’iconoclastia dei talebani, ma anche per incuria.  
Per il futuro politico del paese Roy delinea due due possibili scenari. Il primo è quello della fine degli anni Novanta, quando i talebani non sono riusciti a controllare le roccaforti dell’opposizione, in particolare il Panshir. “Se questa regione resiste, non avranno molte difficoltà a circondarla. Tanto più che nessun paese straniero paracaduterà armi al successore di Massoud. La Russia chiede solo una cosa, che i talebani garantiscano il confine con l’Asia centrale, e lo faranno”, dice sul Panshir. Poi il  secondo scenario: che i talebani vengano sopraffatti alla loro destra da gruppi ancora più radicali di loro. “Possiamo pensare che i talebani faranno di tutto per schiacciarli, perché non possono accettare alcuna concorrenza, ma allo stesso tempo questi pashtun dell’est rischiano di creare nuove zone di rifugio per il terrorismo”.

 

(traduzione di Priscilla Ruggiero)

Di più su questi argomenti: