tra virgolette

Alle origini del fallimento del ritiro americano

Pubblichiamo ampi estratti dell'ultimo numero della newsletter "Common Sense with Bari Weiss"

Le colpe attuali e gli errori del passato, le ferite che non si curano e quelle che si possono ancora prevenire. La scrittrice Bari Weiss ha posto a sette esperti due domande fondamentali: "Cosa dobbiamo pensare di ciò che è appena successo? Qual è il suo significato per l'Afghanistan, per l'America e per il mondo?"

E' arrivato il momento per l'America di fare i conti con il ritiro dall'Afghanistan. Di chiedersi cosa è andato storto, perché ha fallito, se gli Stati Uniti sono ancora in grado di svolgere il loro ruolo nel mondo e se vogliono farlo. Le immagini di disperazione dall'aeroporto di Kabul riguardano l'America molto da vicino e Bari Weiss, scrittrice americana, ex giornalista del New York Times – se ne andò contestando il fatto che ormai la testata corresse dietro agli umori di Twitter – ha posto a sette americani che hanno avuto a che fare con la storia dell'intervento americano in Afghanistan le seguenti domande: "Cosa dobbiamo pensare di ciò che è appena successo? Qual è il suo significato per l'Afghanistan, per l'America e per il mondo?". Le risposte contengono tutte una sicurezza, esplicitata dal generale H.R. McMaster, "passeranno anni prima che la macchia del 2021 possa essere cancellata”.

 

Secondo Thomas Joscelyn, caporedattore del Long War Journal, la colpa è “dei nostri leader incompetenti, soprattutto dei nostri generali.” 

“C'è un sacco di colpa da dare in giro”, dice. Dà la colpa ai generali: è vero che hanno fatto ciò che richiedeva loro la leadership politica, ma nessun generale si è mai alzato per dire: “Non possiamo portare avanti una guerra che non si può vincere”. Il primo presidente che incolpa è Bill Clinton: la sua Amministrazione non ha preso sul serio la minaccia di al Qaida, portando all'11 settembre e alla guerra in Afghanistan. Poi George Bush e Donald Rumsfeld: nel 2001 hanno avuto l'opportunità di dare un colpo mortale ad al Qaida e ai talebani, ma hanno esitato.

Per Joscelyn, la colpa è anche di Barack Obama che nel 2009 ha impegnato più di 100.000 forze per aiutare gli afghani a formare la "capacità" di difendere il loro paese da soli, ma con una data di scadenza di soli 18 mesi, per poi inseguire un fantasioso accordo di pace con i talebani. Poi di Donald Trump e del suo Segretario di Stato Mike Pompeo, che hanno ritratto i talebani come partner dell'America nell’antiterrorismo. 

E infine, di Biden, che è sempre stato ambivalente sulla guerra, e ha guardato i jihadisti far risorgere l'Emirato islamico dell’Afghanistan.

 

Per Justin Amash, che dal 2011 al 2021 è stato il più alto esponente del Partito libertario del paese e ha rappresentato il Michigan come membro del Congresso, “la libertà non può essere imposta con la forza”. “Non sappiamo cosa succederà all'Afghanistan negli anni a venire, ma sappiamo che la libertà e la pace non possono essere imposte con la forza. Il popolo dell'Afghanistan deve plasmare il proprio futuro, e noi dobbiamo accettare l'incertezza che deriva dal vivere in un mondo che non possiamo controllare”, dice.

Secondo Amash, il progetto americano di nation building in Afghanistan era destinato a fallire. Venti anni di guerra e occupazione, vittime indicibili, due trilioni di dollari, compresi quasi 100 miliardi di dollari per addestrare ed equipaggiare le forze di sicurezza afghane: per anni i comandanti militari statunitensi hanno propagandato queste forze come il pilastro di un Afghanistan libero e sicuro, ma i talebani le hanno sbaragliate in una settimana.

Ci sono abbondanti prove che sarebbe successo lo stesso se le forze statunitensi avessero lasciato l'Afghanistan 15 anni fa o fossero rimaste per altri 15. Ma questo non significa assolvere l’ingenuità o imprudenza dell'amministrazione Biden, quando si è scrollata di dosso le capacità dei talebani e ha assicurato agli americani un ritiro ordinato.

 

Anche per Eli Lake, editorialista di Bloomberg, tutto questo era inevitabile. “È sempre stato arrogante pensare che l'America potesse domare una terra così selvaggia e pericolosa”. Secondo Lake, i presidenti Joe Biden e Donald Trump hanno permesso una catastrofe per porre fine a uno stallo. Biden ha tradito un intero paese e la sua decisione sta portando a un orrore che non aveva alcuna intenzione di prevenire.

Nel 2020 gli è stato chiesto su Face the Nation se avrebbe avuto qualche responsabilità per il trattamento delle donne afghane se i talebani avessero preso il controllo del paese dopo che lui come presidente aveva ordinato il ritiro. "No, non ce l’ho", ha detto. "Mi stai dicendo che dovremmo andare in guerra con la Cina a causa di quello che stanno facendo a un milione di uiguri nei campi di concentramento, è questo che mi stai dicendo? Ho zero responsabilità”.

Ma la questione non era prevenire un'atrocità in un paese che non stava combattendo, quanto di mantenere alcune migliaia di forze che hanno impedito le atrocità che ora si stanno verificando. “Le donne che sognavano una vita nel ventunesimo secolo saranno costrette a tornare nell'ottavo. Gli alleati che contano sull'America per essere protetti dalla Cina, dalla Russia o dall'Iran ora ci penseranno due volte. Tutto per portare a casa qualche migliaio di forze da una guerra combattuta fino allo stallo. Una vergogna”, dice Lake.

 

“Le guerre non finiscono quando una parte si disimpegna e il nemico conduce un jihad senza fine”, dice invece H.R. McMaster, che si è ritirato dall'esercito degli Stati Uniti dopo 34 anni.

McMaster smonta ogni “sentito dire”: che non abbiamo ottenuto nulla in Afghanistan; che i talebani erano cambiati e diversi da Al Qaeda; che le forze afghane avrebbero dovuto combattere di più e che mancava loro forza di volontà e che non c’era soluzione militare alla guerra.

Ma poi abbiamo visto come il popolo afghano, soprattutto le donne, da un giorno all'altro ha perso le libertà che si era assicurato per due decenni con il sostegno degli Stati Uniti e dei nostri alleati. Abbiamo assistito ai "matrimoni" forzati dei talebani con ragazze di 15 anni come copertura per lo stupro e all'uccisione di funzionari pubblici nelle piazze pubbliche. Decine di migliaia di afghani hanno fatto un sacrificio finale e il colpo psicologico dato dall'improvvisa ritirata dell'America è stato più duro anche dei colpi fisici inferti dai talebani. I talebani avevano una soluzione molto chiara in mente, e "passeranno anni prima che la macchia del 2021 possa essere cancellata”, dice l’ex soldato.

 

Anche Jacob Siegel, caporedattore di Tablet! che ha servito con l'esercito americano in Iraq nel 2006-2007 e in Afghanistan nel 2012, incolpa l’amministrazione Bush di essere rimasta e aver inventato un nuovo Afghanistan piuttosto che far leva sulla vittoria del 2004 per ottenere la pace.

“I funzionari americani hanno potuto sostenere per anni che il paese stava progredendo verso un giorno di indipendenza - ma solo impedendo che quel giorno arrivasse”, dice Siegel.

John Sopko, che ha diretto il gruppo di sorveglianza del Congresso sulla guerra, cita due cause del fallimento degli Stati Uniti in Afghanistan. Una è "l'arroganza, di prendere un paese che era desolato nel 2001, e trasformarlo in una piccola Norvegia". L'altra è la "mendacia" dei leader militari e civili statunitensi che hanno ingannato il pubblico americano esagerando i magri risultati e mantenendo la promessa che, finalmente, erano "pronti a girare l'angolo". 

L'amministrazione Biden, per Siegel, è stata ferma e debole. Nonostante sapessero da mesi che questo giorno sarebbe arrivato, i pianificatori militari non sono riusciti a impedire che molti milioni di dollari di attrezzature statunitensi cadessero immediatamente nelle mani dei talebani. Non sono riusciti a organizzare un passaggio sicuro per il personale americano, e peggio di tutto sono stati i patetici tentativi pubblici di corrompere i talebani promettendo pagamenti futuri in cambio dell’astensione dall'attaccare l'ambasciata degli Stati Uniti. Ancora una volta, come è successo con l'Isis in Iraq, gli Stati Uniti hanno armato il loro nemico.

 

Nikki Haley, ex ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite ed ex governatrice del Sud Carolina racconta di come non dimenticherà mai il giorno in cui il marito è partito per l'Afghanistan il 10 gennaio 2013, come maggiore nella Guardia Nazionale dell'esercito del Sud Carolina. E’ stata dura vederlo partire, ma sapeva che lui, come tanti americani, stava facendo il suo dovere e proteggendo il nostro paese.

Ora non dimenticherò mai il 15 agosto 2021: il giorno in cui l'Afghanistan è caduto in mano ai talebani. Solo un mese fa, il presidente Biden ci aveva assicurato che era ‘altamente improbabile’ che questo accadesse. Ora l'America sta implorando i talebani di lasciarci rimuovere il nostro personale dell'ambasciata. È uno spettacolo umiliante” dice Haley.

Ci sono molti regimi barbari nel mondo, e non è compito dell'America sorvegliarli. Ma l’Afghanistan è diverso per Haley: vent’anni fa, i terroristi allevati in quel paese sono venuti per l’America, e ora stanno ottenendo ciò che volevano.

“Non sono l'unico nemico soddisfatto dalla nostra sconfitta. Cina, Russia e Iran stanno guardando un'America debole e in ritirata, incapace di proteggere i nostri interessi. Come risultato, l'America oggi è meno sicura. Questo è il prezzo più grande che pagheremo per il fallimento di Biden in Afghanistan”.

 

Infine Elliot Ackerman, un marine che ha servito cinque volte in Iraq e Afghanistan, dipinge la guerra dell’America in Afghanistan come una tragedia raccontata in quattro atti: in ognuno, un presidente diverso interpreta il ruolo principale e in ognuno, commette un errore fatale.

Protagonista del primo atto è Bush. Quando il governo guidato dai talebani si rifiuta di consegnare Osama bin Laden dopo gli attacchi dell'11 settembre, il presidente Bush invia le truppe americane in Afghanistan il 7 ottobre 2001. Dopo appena due mesi, il governo talebano crolla. La vittoria degli Stati Uniti è decisiva, ma ecco il primo errore: l'Amministrazione perde la concentrazione mentre si mobilita per la guerra in Iraq e i talebani si costituiscono. Nel 2008 il secondo atto: per Barack Obama l'Iraq era la guerra sbagliata e l'Afghanistan quella giusta. Così fissa la data di uscita per le truppe americane in Afghanistan al 2014. Per Ackerman annunciare una strategia di uscita basata sul tempo, invece che sulle condizioni, è un passo falso cruciale, ed è questo l’errore di Obama. Nell’atto seguente, il terzo errore è di Trump, che negozia - a lungo - con i talebani. Nel fare ciò, sottovaluta il governo afghano. Il risultato è un cessate il fuoco instabile (violato in numerose occasioni dai talebani) e un impegno che tutte le truppe statunitensi lasceranno l'Afghanistan entro il 1° maggio 2021. Ed è infatti quando Trump perde la rielezione, che il suo successore Joe Biden eredita questo accordo, nell’atto quattro.

Il 14 agosto dice: "Sono stato il quarto presidente a presiedere una presenza di truppe americane in Afghanistan - due repubblicani, due democratici. Non vorrei, e non passerò questa guerra a un quinto". Il suo processo decisionale basato sui costi sommersi, invece che su quelli futuri, è il quarto, tragico errore. 

“Ma le tragedie classiche non hanno quattro atti. Qualsiasi drammaturgo sa che di solito si svolgono in cinque. Qualsiasi cosa esca fuori dal nuovo Emirato islamico dell'Afghanistan è ciò che ci consegnerà il quinto, ultimo e devastante atto di questa tragedia”, conclude Elliot Ackerman.

 

Di più su questi argomenti: