AP Photo/Manuel Balce Ceneta

L'America in Afghanistan ha scelto di perdere. Due esperti ci raccontano perché

Cecilia Sala

Si fa finta che le guerre siano giuste o sbagliate a seconda del sentiment: "Non è vero che Biden era forzato a ritirare le truppe. E ormai da tempo la nostra presenza a Kabul era economicamente sostenibile"

Le guerre giuste esistono e, se non esistessero, i pacifisti di sinistra direbbero che gli americani hanno fatto malissimo a combattere il nazifascismo. Le guerre giuste esistono e, se non esistessero, i sovranisti di destra direbbero che quella in Europa negli anni Quaranta era una guerra a migliaia di chilometri da casa e costosissima e pagata con i soldi del contribuente americano. I pacifisti aggiungerebbero che bisogna rispettare l’autodeterminazione dei popoli: se la vedessero da soli gli italiani e i tedeschi. Chissà perché, invece, noi l’esportazione della democrazia ce la siamo presa e portata a casa senza tante storie. Ma al popolo afghano, per carità, non continuiamo a infliggere una tale umiliazione. Leone Ginzburg e Indro Montanelli andavano liberati e salvati, l’ex vicepresidente dell’Afghanistan Amrullah Saleh – che non si arrende ai talebani – scampasse la decapitazione se ci riesce, fuggisse all’estero se ci riesce: fatti suoi. La guerra per liberare noi era quella giusta, quella per liberare loro dai talebani è quella sbagliata. Sulla base di quale principio non è dato saperlo, intanto, noi ci limitiamo a ringraziare che all’epoca dei fatti (nostri) non ci fosse né la destra sovranista né la sinistra pacifista al governo degli Stati Uniti d’America.

 

Secondo Danielle Pletka, senior fellow per la politica estera e di difesa dell’American Enterprise Institute, agli americani piace illudersi. Dal momento che è impossibile giustificare il mutamento con cui si è passati dal giudicare quella contro i talebani una guerra “buona” a considerarla una “cattiva” da un punto di vista etico, si fa finta che le guerre siano giuste o sbagliate a seconda del sentiment, dei sondaggi e dei risultati. Per quanto solo gli obiettivi possano rispettare i princìpi e sulla base dei risultati si mettono semmai in discussione le capacità e le strategie. Ma Pletka va oltre, dice che anche i risultati erano tutt’altro che disprezzabili, ma sono stati presentati come disastrosi proprio per giustificare il ritiro. Per Pletka, abbiamo vinto e poi abbiamo scelto di perdere. E porta alcuni esempi: ci sono state sei elezioni in Afghanistan dall’intervento americano, prima non c’erano e adesso non ci saranno più. Al Qaida è stata ridimensionata. Le donne potevano andare a scuola, lavorare e vestirsi come volevano. Ma, si lamenta Pletka: Barack Obama, Donald Trump e Joe Biden non hanno mai usato il loro peso politico e mediatico per sottolinearlo.

E’ vero, come dice Biden, che aveva le mani legate, che aveva già deciso Trump, che ormai c’erano gli accordi di Doha? “Nel suo discorso sconclusionato e triste, Biden ha insistito sul fatto che i negoziati di Trump con i talebani non gli lasciavano scelta. Questa è, ovviamente, una bugia. I talebani hanno violato tutti gli accordi con noi e il presidente avrebbe potuto uscirne facilmente. Inoltre, l’idea che qualsiasi cosa fatta da Trump costringa Biden è ridicola: l’uscita di Trump dal Jcpoa – l’accordo con l’Iran – è forse irreversibile per Biden?”. No, così come un accordo fatto da Obama con l’Iran non ha costretto Trump a rispettarlo, infatti lo ha violato. “Quando sei il presidente, a meno che non ci sia una legge specifica a proibirlo, in politica estera puoi fare quasi tutto quello che vuoi. Joe Biden ha scelto di perdere in Afghanistan, ha scelto di lasciare il paese destabilizzato, ha scelto di abbandonare le donne, ha scelto di permettere la vittoria dei talebani. Questo tradimento dei nostri alleati (inclusa la Nato) e dei nostri princìpi, è anche suo”.

 

Anche Paul D. Miller, veterano e accademico alla Georgetown University, è convinto che il ritiro non sia solo ingiusto, ma irrazionale. Perché le tre principali ragioni addotte da Biden – le perdite tra i soldati americani, il costo di quella guerra, la necessità di spostare la strategia dal medio oriente alla competizione con le grandi potenze come la Cina – non reggono. “Nell’ultimo periodo – spiega Miller al Foglio – le truppe statunitensi non erano in pericolo e non erano impegnate in combattimenti di terra contro i talebani, avevano solo un ruolo di supporto”. La guerra era già finita, i soldati Usa servivano come garanzia. “Dal 2014, sono stati circa 60 gli statunitensi morti in Afghanistan. Quest’anno neanche uno. Mentre, anche se di questi tempi non vogliamo ricordarlo, da quando siamo arrivati nel 2001 quasi 70.000 afghani sono morti per combattere i talebani”. Miller aggiunge che, per quanto riguarda i costi: “già nel 2010 l’Amministrazione Obama li aveva ridotti drasticamente. Da tempo la nostra presenza era sostenibile. Per esempio, c’è qualche migliaio di nostri soldati in più da voi in Italia di quanti non ce ne fossero in Afghanistan già prima degli accordi e dell’inizio del ritiro. La presenza degli Stati Uniti era piccola ed economica”. Ci tiene a ricordare come alcune basi militari e poche migliaia di soldati non significano una vera e propria guerra e che insistere retoricamente sul concetto di “guerra più lunga della storia degli Stati Uniti” è fuorviante.

Infine, anche in termini di “great power competition” con la Cina, secondo Miller il discorso non sta in piedi. Per un semplice fatto: il tipo di mezzi che usi per combattere i talebani non li puoi usare per fermare l’ascesa del dragone. “Le armi e gli strumenti adoperati in Afghanistan come forze speciali, droni e unità di addestramento e assistenza, non li convertiremo contro la Cina. Quelli che ci servono per la competizione tra potenze sono portaerei, capacità informatiche e armi nucleari”. Ciò che il professore non si spiega è perché la politica abbia scelto una comunicazione “da perdenti” pur di giustificare il ritiro, invece di accettare bassi rischi per i soldati e spese contenute pur di rivendicare quella che, tecnicamente, era una vittoria, per quanto imperfetta. Resta però una questione che non è stata chiarita, perché l’esercito afghano, che aveva combattuto strenuamente i talebani sopportando perdite assai maggiori di quelle sopportate dagli occidentali, si sia dissolto come neve al sole. Danielle Pletka se lo spiega così: “C’è un fattore psicologico, ma c’è anche un fattore molto concreto: la nostra intelligence, il nostro supporto aereo e la nostra tecnologia erano necessarie per loro esattamente come lo sono per molti dei nostri alleati. Per chi non lo ricorda, gli Stati Uniti hanno dovuto far volare la maggior parte del supporto aereo per la guerra in Libia perché Francia e il Regno Unito non avevano né la potenza aerea né le munizioni per combatterla da soli”. E non sono afghani.
 

Di più su questi argomenti: