Il premier canadese Justin Trudeau (Ansa) 

In Canada

L'azzardo di Trudeau: chiedere elezioni anticipate

Luciana Grosso

Il premier canadese ha gestito bene la pandemia e adesso vuole trasformare questo successo in capitale politico

La politica, a volte, è fatta di scommesse. E le scommesse, è noto, si sa come iniziano ma quasi mai come finiscono. Vale per tutto, e vale anche nel caso della richiesta di elezioni anticipate fatta dal premier canadese Justin Trudeau. La sua, infatti, è una scommessa: se vince (come dicono i sondaggi) vince tutto: si assicura altri quattro anni di governo e, finalmente, anche una maggioranza, visto che da due anni non ne ha una e gli tocca fare conto sulla benevolenza dell’opposizione. Se perde, però (come suggeriscono i risultati delle elezioni locali di pochi giorni fa in Nuova Scozia, provincia nella quale, in teoria, il suo Partito liberale era favorito), perde tutto e consegna il paese all’opposizione dei conservatori o a un nuovo governo di minoranza. Trudeau è talmente convinto di vincere, da aver deciso lui stesso, in piena quarta ondata di Covid, di chiedere alla rappresentante della corona in Canada, Mary Simon, di andare al voto. 

 

In teoria e secondo le dichiarazioni ufficiali, la ragione per cui Trudeau vuole votare di nuovo e uscire dal guado del governo di minoranza cui è costretto dal 2019, è che occorre dare il colpo finale alla crisi Covid, concludere la campagna vaccinale e organizzare la ripartenza: tutte cose per cui servono una serie di decisioni legittimate da un mandato forte. Probabilmente è vero. Ma altrettanto probabilmente, però, potrebbe essere vero anche quello che dicono i suoi detrattori, convinti che la ragione per cui si sono convocate, nonostante la pandemia, nuove elezioni, è che Trudeau ha dato un’occhiata ai sondaggi, ha visto che gli sorridevano e ha deciso che era il momento giusto per votare, capitalizzando il più possibile il momentaneo successo della sua gestione della crisi sanitaria. In effetti, la situazione appare eccellente: secondo le rilevazioni di Légers, la più accreditata agenzia di sondaggi canadesi, una percentuale tra il 46 e il 49 per cento dei canadesi ha una buona opinione del governo e di Trudeau e , alle elezioni, il suo partito  potrebbe arrivare al 35 per cento: un risultato non ottimo, ma comunque positivo, che potrebbe far arrivare i liberali almeno a 166 seggi, ossia solo quattro in meno di quelli che servono per la maggioranza di 170. 

 

Allo stesso tempo, inoltre, gli avversari di Trudeau appaiono in difficoltà: il partito Conservatori di destra, benché galvanizzato da un’insperata e imprevista vittoria in Nuova Scozia, non riesce ad andare oltre il 30 per cento: un dato buono, ma reso potenzialmente perdente dall’estrema impopolarità del leader Erin O’Toole (solo il 22 per cento degli elettori dice di averne una buona impressione). L’altro grande partito avversario di Trudeau, il gruppo di sinistra Nuovo partito democratico, anche se dato al 2 per cento è, per paradosso, quello che impensierisce di più il premier, dal momento che ha molta presa tra i giovani e, soprattutto nelle città, tradizionali bacini elettorali di Trudeau. Per questo, proprio perché il vantaggio del premier è solido ma non solidissimo, la vera sfida per il leader dei liberali canadesi non è vincere le elezioni, ma non perderle. E questa, a conti fatti, potrebbe essere la cosa più difficile. Come difficile e pericolosa è la strada che Trudeau ha scelto per raggiungere il suo obiettivo: capitalizzare e usare la crisi sanitaria, mettendo sul piatto sia quel che è stato fatto sino a ora, sia quel che intende fare da qui in poi. 


Quel che è stato fatto, va detto, gioca a favore di Trudeau: i contagi e le morti sono stati relativamente pochi (1,4 milioni di casi e 26 mila decessi in un paese da 37 milioni di abitanti) e il 64 per cento dei cittadini è completamente vaccinato. Trudeau ha deciso, almeno fin qui, di concentrare la campagna elettorale sulla sua proposta di obbligo vaccinale, che dovrebbe valere per tutti i dipendenti pubblici e per tutti i passeggeri di treni e aerei. La decisione potrebbe essere stata presa sia per evitare una nuova diffusione del virus, sia a seguito di una previdente occhiata ai sondaggi (il 53 per cento dei cittadini è a favore dell’obbligo vaccinale, soltanto l’8 per cento è fortemente contrario). Eppure nonostante alla luce di queste rilevazioni la scelta di puntare tutto sull’obbligo di vaccino appaia come una decisione elettoralmente redditizia, oltre che giusta, a conti fatti, potrebbe rivelarsi comunque pericolosa. La ragione è che il fatto che Trudeau abbia deciso di fare di un tema come l’obbligo vaccinale un argomento da campagna elettorale, lo ha immediatamente reso divisivo. La destra di O’Toole si è detta, probabilmente più per strategia che per reale convinzione, subito contraria, dicendo che i tamponi negativi bastano e avanzano. E il risultato, a un mese dal voto, è che in poche ore, quello che era un tema sul quale quasi tutti erano d’accordo è diventato una faccenda di squadre e tifo politico, sul quale avere non più verità ma opinioni. 

 

La recente esperienza dei vicini Stati Uniti insegna che politicizzare i vaccini non è mai una buona idea; usare il tema dei vaccini come un tema divisivo potrebbe non soltanto intorbidare le acque della campagna vaccinale, rendendola un tema come tanti altri,  tra salute e politica, ma potrebbe non pagare anche a livello di voti. Il Covid è un tema sanitario e non politico. Andrebbe maneggiato con cura. Anche da Trudeau, che finora, con la crisi sanitaria, aveva scelto la strategia giusta.

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