(foto Ap)

Negli Usa si studia un modo per aggirare il blocco di internet del regime a Cuba

Maurizio Stefanini

L'inventore dell'app da cui è nata la scintilla per la rivolta dell'11 luglio chiede agli Stati Uniti di installare ripetitori wifi, per permettere ai cubani di tornare a navigare online

"L’hai acchiappata!”. Una traduzione letterale è quasi impossibile, ma più o meno è questo il significato di “Apretaste!”: nome di un’app che è stata inventata dal programmatore Salvi Pascual e che cerca di dare libero accesso a internet ai cubani,  in modo economico e aggirando la censura. Funziona in realtà da otto anni, utilizzando la posta elettronica come connessione per aggirare i firewall di regime. Ma da internet è venuta la scintilla per la clamorosa rivolta anti-regime dell’11 luglio, il regime ha risposto con il blocco di internet, Biden ha annunciato una commissione per studiare il modo di dare ai cubani connessioni libere, e il regime ha ulteriormente risposto martedì con l’annuncio di una nuova legge su rete e social ancora più repressiva. Salvi Pascual ha dunque ora annunciato una “versione 8 migliorata” della sua app, “molto più rapida e semplice e che consumi meno dati”, in modo anche da poter essere usata fuori dall’isola. “Attualmente il 98 per cento dei miei utenti è a Cuba”, spiega.

Nel contempo però rilancia, suggerendo al governo Usa cosa potrebbe fare per assicurare a tutti i cubani un internet aperto attraverso una “alternativa rapida”. Secondo lui, l’emendamento approvato l’11 agosto dal Senato di Washington su proposta dei senatori repubblicani della Florida Marco Rubio e Rick Scott per creare un fondo di investimento tecnologico destinato alla libertà di rete a Cuba è “una buona alternativa”. Ma non è sufficiente. Invece, dice, basterebbe lanciare un segnale con un ripetitore wifi dall’ambasciata Usa all’Avana e un altro dalla base navale di  Guantánamo. “Ci sono azioni che sono morali e corrette da prendere e non sto parlando di mettere una bomba”, ha spiegato in un’intervista. “Parlo solo di un ripetitore wifi, come quando vai da McDonald’s e hai internet gratuito”. Anzi, secondo lui proprio il  McDonald’s di  Guantánamo, “l’unico esistente a Cuba”, si presterebbe per  essere utilizzato in questo schema. “Lì si potrebbero collocare ripetitori di T-Mobile, per esempio”. Secondo Pascual, “non c’è nessuna legge internazionale che lo proibisca”.

Insomma, internet libero per Cuba nel ruolo che ebbe Radio Londra verso l’Europa occupata dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, o Radio Free Europe/Radio Liberty verso l’Europa dell’est comunistizzata durante la Guerra fredda. Secondo Pascual, proprio perché il regime cubano ha paura di Internet non ha voluto collegare l’isola a internet attraverso la dozzina di cavi transatlantici sottomarini che le passano giusto vicino. Invece ha preferito un altro cavo che passa dal Venezuela e che è largamente insufficiente, ma in compenso è controllato da un regime amico. “Tutte le prove che abbiamo raccolto indicano che il cavo che connette Cuba al Venezuela non ha tutta l’ampiezza di banda richiesta. Un cavo deve essere come un tubo per la distribuzione dell’acqua: veloce e di buona capacità”. Ovviamente i sistemi per via aerea “sono molto più lenti ed hanno problemi con nubi e maltempo”. “Se gli Stati Uniti operano per fornire internet aperto ai cubani dimostrerebbero che la mancanza di una buona rete non si deve all’embargo come dicono, ma è responsabilità al 100 per cento del governo cubano”. Questa è anche una differenza rispetto al ruolo di internet nelle Primavere arabe, proprio perché in Medio Oriente l’infrastruttura della  rete era in mano a società private. Dunque, non tagliabile alla stessa rapidità con cui è stato interrotto l’internet di stato cubano.

Come si ricordava, proprio perché evidentemente questo tipo di controllo non basta più il regime martedì ha pubblicato un documento di 78 pagine sulle “nuove norme giuridiche in materia di telecomunicazioni”.  La diffusione di notizie “sovversive” e la “sovversione sociale” via rete sono equiparate a terremoti, inondazioni, uragani, frane, pornografia e “inganno pedofilo”, e soggette allo stesso tipo di interventi repressivi.  

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