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La battaglia della Cina contro i ragazzini che giocano online

Giulia Pompili

Guerra al gaming. Pechino decide pure sui videogiochi. È salute o propaganda?

Da un lato c’è la preoccupazione che i ragazzini, invece di divertirsi con i videogiochi, ne diventino ossessionati. Dall’altra il timore che quella stessa “evasione” virtuale sconfini troppo, faccia perdere la misura degli obiettivi, eluda il controllo nella quotidiana somministrazione della propaganda.  Qualche giorno fa il quotidiano economico legato all’agenzia di stampa statale cinese Xinhua, l’Economic Information Daily, ha definito i videogiochi online “un oppio spirituale”, una “droga elettronica”, aggiungendo che “a nessuna industria può essere permesso di svilupparsi in modo tale da distruggere una generazione”. L’articolo citava più volte “Honor of Kings”, gioco online sviluppato dal colosso del settore cinese Tencent, il più importante del mondo. Quando l’articolo ha iniziato a circolare, le quotazioni di Tencent sono crollate del 10 per cento. Il sospetto degli investitori era che dietro all’“oppio spirituale” si nascondesse il nuovo obiettivo dei funzionari di Pechino, che nelle ultime settimane si sono concentrati molto sul ridurre l’influenza dei colossi tecnologici cinesi non solo dal punto di vista economico, ma anche nel tentativo di controllarne l’ascesa e quindi l’indipendenza. A un certo punto l’articolo accusatorio è scomparso  dal sito, ed è stato  rimesso online in una versione più edulcorata. 

 

  
Il giorno dopo, Tencent ha annunciato di aver limitato a un’ora la possibilità di gioco per gli utenti sotto i 18 anni nei giorni feriali, a due ore nei giorni festivi, alzando il limite di età che precedentemente era fissato a 12 anni. Sin dal 2018 Pechino studia nuove regole per limitare la dipendenza da gaming.

  
 Ma c’è anche un altro obiettivo, e cioè quello di controllare un settore che era poco regolato. Insomma non si tratta solo di moderare l’utilizzo di giochi online ma anche di valutarne l’appropriatezza secondo le “caratteristiche cinesi”. Il regolamento del 2019 obbliga le aziende come Tencent a perfezionare le tecniche di riconoscimento e di identificazione di chi gioca, limita le ore di utilizzo dei giochi da parte degli utenti e introduce una sorta di “coprifuoco” per il gaming, dalle 22 alle 8 di mattina. I ragazzini nel tempo avevano imparato ad aggirare il sistema usando le chiavi di accesso degli adulti. Un mese fa era stata proprio la Tencent a testare il riconoscimento facciale sulle applicazioni dei giochi per evitare la truffa dell’età. 

   
Nonostante gli sforzi di tenersi al passo con la volontà di Pechino, ora Tencent è di nuovo al centro della polemica. “Honor of Kings” è tecnicamente un’arena di battaglia online multigiocatore (vuol dire che diversi giocatori  possono sfidarsi online) che si ispira a personaggi storici, e l’anno scorso ha fatto guadagnare alla Tencent 218,5 milioni di dollari. E’ il secondo gioco online più redditizio al mondo, con circa cento milioni di giocatori al giorno. In occidente, dove è uscito nell’adattamento “Arena of Valor”, non ha mai avuto il successo sperato perché qui il mondo del gaming è fatto di console e divano, di ragazzini davanti alla televisione o al computer con joystick in mano.

 

In Asia orientale è tutta un’altra storia: il gaming si fa soprattutto sullo smartphone, online, e secondo diversi sondaggi tra Giappone, Corea e Cina i ragazzini passano con la testa sullo smartphone fino a 6 ore al giorno. E infatti il 95,6 per cento degli incassi di “Honor of Kings” viene dalla Cina, dove è scaricato in egual misura da maschi e femmine. Già nel 2017 questo successo dei giochi online era stato criticato dal Partito comunista cinese: il Quotidiano del popolo aveva definito “Honor of Kings” un “veleno per i giovani”, e Tencent allora aveva perso il 4 per cento in Borsa. “Anzitutto il contenuto del gioco distorce valori e punti di vista storici. In secondo luogo, le menti e i corpi dei giovani sono consumati dalla loro indulgenza nel gioco. Dal punto di vista del governo, dobbiamo promuovere l’innovazione, ma dobbiamo anche monitorare”. Poi erano state introdotte le nuove regole, e tutto sembrava perdonato. L’attenzione ossessiva di Pechino nei confronti delle nuove generazioni di cinesi e della loro formazione passa anche dal game. Sembra una buona cosa, ma quando c’è di mezzo la propaganda e il nazionalismo difficilmente lo è. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.