È morto Donald Rumsfeld, ex segretario alla Difesa americano

Aveva 88 anni. Era il capo del Pentagono nell’Amministrazione Bush, il falco più rapace dopo l'11 settembre. Fu lui a gestire nel 2003 l’invasione dell’Iraq

L'ex capo del Pentagono nell’Amministrazione Bush, Donald Rumsfeld, è morto questa notte, a 88 anni. Ne ha dato notizia la famiglia: "È con profonda tristezza che condividiamo la notizia della scomparsa di Donald Rumsfeld, statista americano e marito devoto, padre, nonno e bisnonno. A 88 anni, era circondato dalla famiglia nella sua amata Taos, nel New Mexico". 

 

"La storia - si legge nella nota diffusa dai familiari - potrebbe ricordarlo per i suoi straordinari risultati in oltre sei decenni di servizio pubblico, ma per coloro che lo hanno conosciuto meglio e le cui vite sono state cambiate per sempre di conseguenza, ricorderemo il suo amore incrollabile per sua moglie Joyce, la sua famiglia e i suoi amici, e l'integrità che ha portato a una vita dedicata al Paese".

  

Rumsfeld era una figura di spicco a Washington. Nato a Chicago nel 1932, è arrivato per la prima volta a DC negli anni '60 e ha ricoperto diverse posizioni sotto i presidenti Richard Nixon e Gerald Ford. Nel 1975, è diventato la persona più giovane ad essere nominato segretario alla Difesa (sotto Ford) e in seguito è stato il più anziano a ricoprire il ruolo durante il suo secondo mandato (sotto Bush). Era al Pentagono quando l'edificio è stato colpito da un aereo dirottato durante gli attacchi dell'11 settembre. Rumsfeld è stato tra i primi a raggiungere il luogo dell'incidente in fiamme e ha aiutato a trasportare i feriti in barella. Meno di un mese dopo, le forze statunitensi hanno iniziato una campagna aerea contro al Qaeda, il gruppo responsabile degli attacchi, e contro i talebani in Afghanistan, rovesciando il regime in poche settimane.

 

Teorico della guerra preventiva cara all'ala neocon del Partito repubblicano, Rumsfeld è stato lo stratega dell'invasione dell'Afghanistan (operazione Enduring Freedom) nell'ottobre 2001, contro i talebani che avevano rifiutato di consegnare Osama bin Laden, e dell'invasione dell'Iraq (seconda guerra del Golfo) nel marzo 2003, dietro la falsa accusa di possesso di armi di distruzione di massa da parte del regime di Saddam Hussein.

 

Ecco un po' di letture dal nostro archivio.


 
"Un tipaccio"

Donald Rumsfeld non si pente di nulla, scrivevamo dieci anni fa su queste colonne. Chi pensava che a 78 anni l'ex segretario della Difesa, l'uomo più duro dell'Amministrazione Bush, il falco più rapace dopo l'11 settembre, avesse preso ad addolcirsi e, sentendo lo spirito della pensione soffiare in lui, avrebbe fatto concessioni retrospettive, rimane deluso. L'unica resipiscenza riguarda le sue dimissioni dal Pentagono dopo l'uscita delle foto della prigione irachena di Abu Ghraib, nel 2004, con le torture e tutto il resto. Rumsfeld ha consegnato al presidente Bush due lettere di dimissioni nel giro di cinque giorni, entrambe rifiutate. “Guardandomi indietro, riconosco che ci sono alcune cose circa il trattamento dei prigionieri di guerra che l'Amministrazione avrebbe potuto fare diversamente”, scrive Rumsfeld nel suo libro di memorie, “Known and unknown”, usando un eufemismo che fa ribollire il sangue alla sinistra dalla faccia pulita. 

  

   

Sventare un altro 11 settembre

Hanno fatto parlare i terroristi più spietati, quelli che Rumsfeld ha definito “i più pericolosi, feroci, meglio addestrati assassini sulla faccia della terra” e sventato un altro 11 settembre. Poi però sono stati trattati come aguzzini. Le spie non devono temere solo i jihadisti, ma anche media e giudici.

  

     

A proposito di 11 settembre. Circola nelle librerie americane - scriveva Giuliano Ferrara nel 2008 - un libro di Douglas Feith, “War and Decision”, che racconta con abbondanza di documenti archivistici e vivi particolari drammatici la storia che va dall'11 settembre alla guerra in Iraq. Feith era un alto funzionario del Pentagono, le sue sono informazioni leali fornite da un insider. Si capisce dal suo racconto che Bush e Cheney e Rumsfeld, spesso in condizione di relativo isolamento e di strenua resistenza da parte di pezzi consistenti dell'amministrazione, in sostanza remando sempre contro la Cia e il Dipartimento di stato, e spesso contro le alte gerarchie dell'esercito, hanno compiuto un miracolo politico, diplomatico e militare. 

 

  

Le critiche di Bush senior

Non sono mancate le critiche nemmeno da parte repubblicana, però. I neoconservatori fin dalla liberazione di Baghdad hanno invocato più truppe e poi denunciato la scarsa volontà di Rumsfeld di impegnarsi nella ricostruzione del paese. Il tempo dei ripensamenti sull’invasione dell’Iraq del 2003 è arrivato anche in casa Bush. Il papà, l’ex presidente George H. W. Bush novantunenne e infragilito dal Parkinson, non mette in discussione la guerra in sé: il rovesciamento e la cattura di Saddam rappresentano “momenti d’orgoglio” della storia americana, ha detto Bush senior al suo biografo, l’ex direttore di Newsweek Jon Meacham, e ha smentito quel che si disse sulla frattura tra i due Bush, “Saddam non c’è più – dice – e con lui se se ne sono andate brutalità e cattiveria e ferocia”. Stavo e sto con mio figlio, “l’equazione è semplice”, dice Bush che però non risparmia nulla ai due architetti della missione irachena, Dick Cheney e Donald Rumsfeld, due prepotenti che bisognava contenere, e non farlo è stato un errore. Per H. W. Bush, Donald Rumsfeld è un “iron ass” “che ha servito malamente il presidente”.

 

"Vecchia Europa, nuova Europa"

Nei giorni della preparazione dell’invasione di Baghdad, Rumsfeld ha risposto a una domanda di Charles Groenhuijsen, giornalista olandese, sull'umore degli alleati europei. "Stai pensando all'Europa come Germania e Francia. Io no. Penso che sia la vecchia Europa. Se si guarda all'intera Europa della NATO oggi, il centro di gravità si sta spostando verso est", rispose Rumsfeld, per denunciare l’ostracismo di Francia e Germania e scandalizzando non pochi benpensanti. 

Sul piano diplomatico, la guerra in Afghanistan, decisa dalla comunità internazionale al completo dopo l'attentato alle Torri gemelle, è diversa dalla seconda guerra del Golfo, che fu condotta dall'alleanza dei volonterosi guidata dall'America, dalla quale si dissociò in Europa l'asse franco-tedesco. Tuttavia, scrivevamo nel 2009, anche sull'azione militare necessaria per liberare l'Afghanistan dalla minaccia dei talebani, si sono più o meno ricostituite le stesse reti di solidarietà e di riluttanza che si erano create nel caso iracheno, nonostante il cambiamento di segno politico di alcuni dei governi interessati. Gli interessi, le ambizioni (o le velleità) internazionali dei diversi paesi non dipendono tanto dal colore dei governi quanto da una più o meno razionale concezione della funzione nazionale che si intende esercitare. Insomma, la distinzione (rumsfeldiana, da Donald Rumsfeld) tra vecchia e nuova Europa è ancora attuale.

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