L'ultimo interrogatorio

Giulio Meotti

Hanno fatto parlare i terroristi più spietati della terra e sventato un altro 11 settembre. Ora però sono trattati come aguzzini. Le spie non devono temere solo i jihadisti, ma anche media e giudici

Spokane, stato di Washington. Davanti a un giudice federale si è aperto uno dei processi più importanti della recente storia americana, Salim v. Mitchell. Per la prima volta dall’11 settembre, tre cittadini americani coinvolti negli interrogatori di quelli che l’ex ministro della Difesa Donald Rumsfeld ha definito “i più pericolosi, feroci, meglio addestrati assassini sulla faccia della terra” sono stati chiamati a rispondere alle domande di un magistrato. In una deposizione videoregistrata in attesa della prima udienza il prossimo 5 settembre, la Corte di Spokane ha ascoltato Bruce Jessen, James Mitchell e Jose Rodriguez mentre testimoniavano sulle “torture” che l’Amministrazione Bush avrebbe loro chiesto di eseguire durante la guerra al terrore. I primi due nei rapporti della commissione intelligence del Senato erano noti con gli pseudonimi di Grayson Swigert e Hammond Dunbar, per proteggere la loro identità. Sono alcuni degli uomini che hanno sventato un altro 11 settembre, ma ora sono sul banco degli imputati. Da parte dei media come il New York Times, delle organizzazioni liberal dei diritti civili come l’Aclu e di una parte della giurisprudenza americana è in corso una damnatio memoriae delle politiche antiterrorismo. Non si può arrivare all’ex ministro della Difesa Donald Rumsfeld, all’ex capo della Cia George Tenet o all’ex vicepresidente Dick Cheney. Così si punta sulle terze, quarte file. Funzionari, agenti segreti, giuristi, coloro che hanno davvero scritto quella pagina della guerra al terrorismo.

 

La storia è riscritta: Abu Omar è la vittima della Cia, Guantanamo il nuovo gulag e i voli da Aviano come quelli dei desaparecidos

E’ stata così riscritta una pagina della storia contemporanea: Abu Omar è un pacifico predicatore e gli agenti della Cia che lo sequestrarono degli sporchi aguzzini, il Patriot Act è peggio del jihad, Guantanamo è il nuovo gulag (cit. Amnesty International), gli psicologi che interrogarono il decapitatore di Daniel Pearl sono dei sadici incompetenti che lo fecero solo per soldi, i “black sites” nelle foreste polacche il nuovo Garage Olimpo, i giuristi post 11 settembre come i gerarchi impiccati a Norimberga e i voli da Aviano la riedizione di quelli dei desaparecidos argentini.

 

E’ stata una deposizione drammatica quella a Spokane. I due psicologi Jessen e Mitchell avevano dedicato le loro carriere militari a studiare le varie forme di tortura subite dagli americani fatti prigionieri nelle guerre coreane e del Vietnam. Lavorando alla base aerea di Fairchild, vicino a Spokane, Jessen e Mitchell avevano prima addestrato gli aviatori degli Stati Uniti a resistere e sopravvivere se fossero stati catturati da paesi che non aderiscono alla Convenzione di Ginevra. Fu sulla base di questa esperienza che la Cia chiese loro di formulare le tecniche di interrogatorio “duro” cui sottoporre i jihadisti. Lo psicologo Jessen in aula a Spokane ha dichiarato che la sua partecipazione al programma è stato un “tormento”. “Mi dicevano che una bomba nucleare sarebbe esplosa negli Stati Uniti”, ha spiegato Jessen al magistrato. “Ho visto la campagna contro al Qaida come un dovere patriottico”, ha detto Mitchell. Jessen ha detto di aver ricevuto minacce di morte a se stesso e alla sua famiglia a causa del suo lavoro. “Mi chiamarono dalla Cia, i miei nipoti, mia figlia e mio genero vivono con noi”, ha raccontato Jessen. “Hai quindici minuti per uscire di casa perché l’Isis ha trovato qualcuno che verrà a uccidere te e la tua famiglia. Ne ho ricevuti altri. Ho fatto il mio dovere e sono andato in guerra”. Jessen ha attaccato i senatori democratici che nel 2015 hanno accusato lui e Mitchell di tortura. “Quando ci metti la faccia, quando la senatrice Dianne Feinstein e l’American Civil Liberties Union ti accusano di cose che non hai fatto, quando fanno il tuo nome, quando dicono dove vivi, quando si stampano articoli su di te, questo rende tutto difficile”.

 

Ora nei guai c'è Gina Haspel, numero due della Cia, coinvolta nella gestione del carcere della Cia in Thailandia

Mitchell ha giustificato la distruzione dei filmati di alcuni di quegli interrogatori. “Pensavo che fossero brutti e avrebbero potuto mettere in pericolo le nostre vite mettendo le nostre foto. Perché non abbiamo video di aborti? Perché non sono piacevoli da guardare anche se sono legali. E i medici non vorrebbero probabilmente che i video dei loro aborti finissero su YouTube”. I media, a cominciare dal New York Times, hanno a lungo chiesto quei video, distrutti per non mettere a rischio l’identità di chi interrogò i terroristi. Mitchell ha rigettato le accuse di “tortura”, dicendo che quelle tecniche dovevano spingere il detenuto in una condizione “spiacevole” di stress. Mitchell ha anche spiegato che, pur di non subire il waterboarding (la simulazione dell’annegamento), i terroristi “avrebbero preferito farsi rompere le gambe”. Ha testimoniato anche John Rizzo. Nel 2002, quando George W. Bush sigla l’ordine esecutivo in cui sostiene che la convenzione di Ginevra non si applica ai terroristi, Rizzo è consigliere legale ad interim. E’ lui a decretare che la detenzione di Abu Zubaydah in una prigione segreta in Thailandia è legale. “Dopo l’11 settembre, il paese era in preda al panico: temeva che stesse arrivando un altro attacco”, ha spiegato Rizzo. “Avevamo le lettere all’antrace, il bombarolo delle scarpe. Se c’era qualcuno a conoscenza dei piani di attacco, quello era Abu Zubaydah. Era di pietra e non avevamo tempo. Misure estreme andavano impiegate per farlo parlare. Quindi, nonostante tutta la controversia, non posso oggi starmene qui seduto e dire che avrei voluto fermarle”. Abbiamo ottenuto due risultati con quel programma, secondo Rizzo. “Non c’è stato un secondo attentato sul suolo americano e Osama bin Laden è stato ucciso. Dodici anni dopo, c’è la tentazione di pensare che sarebbe stato possibile anche senza utilizzare queste tecniche di interrogatorio. Ma onestamente non posso dire che avrei preso delle decisioni diverse da quelle che risalgono al 2002”.

 

Anche Jose Rodriguez ha rivendicato quanto fatto: “Per la prima volta nella storia americana il nemico ci aveva colpito sul nostro territorio. Per alcuni giorni abbiamo messo in una condizione spiacevole alcuni capi di al Qaida per una ragione valida: proteggere il paese e le vite degli americani”. La Cia rivendica numerosi successi del programma di interrogatori: il raid in cui è stato ucciso Bin Laden e la cattura di José Padilla, accusato di voler commettere un attacco con una bomba radiologica sporca negli Stati Uniti. E poi l’aver saputo prevenire un attacco al consolato degli Stati Uniti a Karachi, in Pakistan e una seconda ondata di attacchi dopo l’11 settembre sulla costa occidentale con il dirottamento di un aereo e lo schianto contro la Library Tower di Los Angeles. Infine, la cattura di alcuni leader di alto profilo di al Qaida. Come hanno spiegato in una dichiarazione congiunta gli ex direttori della Cia George J. Tenet, Porter J. Goss e Michael V. Hayden, “il programma ha portato alla cattura di leader senior di al Qaida, li ha rimossi dal campo di battaglia e ha sventato complotti terroristici e attacchi di massa, salvando vite americane e degli alleati. La rimozione di questi leader ha salvato migliaia di vite. Avevamo prove che al Qaida stava progettando una seconda ondata di attacchi contro gli Stati Uniti, avevamo una certa conoscenza che Bin Laden si era incontrato con gli scienziati nucleari pakistani e voleva armi nucleari e avevamo avuto prove evidenti che al Qaida stava cercando di produrre antrace”. Ma tutto questo sembra ormai una menzogna. Nelle commissioni militari di Guantánamo Bay, ora anche gli avvocati della difesa di un detenuto “torturato” dalla Cia stanno cercando di portare in aula Mitchell e Jessen. Il detenuto, Abd al Rahim al Nashiri, è accusato di aver orchestrato il bombardamento del cacciatorpediniere americano Cole fuori dalla costa dello Yemen.

 

La Cia rivendica i successi del programma: la cattura di Bin Laden e dei capi di al Qaida, aver sventato un altro 11/9 sulla costa occidentale

Tanti altri psicologi hanno pagato. E’ finito nei guai lo psicologo militare Morgan Banks, reo di aver scritto memo per il dipartimento della Difesa su come gli psicologi militari dovrebbero agire durante gli interrogatori di sospetti terroristi a Guantanamo. “La gente è viva a causa del mio lavoro”, ha detto Banks. “I detenuti sono vivi a causa di esso”. Ha rivendicato di aver agito per temperare e migliorare quelle tecniche. Una relazione dell’American Psychological Association ha accusato Banks di colludere con il dipartimento della Difesa giustificando le tecniche sui detenuti. La relazione è stata scritta dall’ex procuratore federale David Hoffman, scelto dall’associazione per passare in rassegna i ruoli che gli psicologi hanno svolto nei programmi di interrogatorio. E’ uscito il nome di Stephen Behnke, per quindici anni direttore dell’ufficio etico dell’American Psychological Association, costretto alle dimissioni per le denunce sul suo ruolo negli interrogatori. Stessa fine per Rhea Farberman, per vent’anni a capo delle comunicazioni. Anche Joseph Matarazzo, un ex presidente dell’associazione degli psicologi, è stato tirato in ballo e rovinato. Avrebbe scritto un memo per la Cia secondo cui la privazione del sonno non costituiva tortura.

 

Anche le “rendition”, ovvero le operazioni clandestine in cui i terroristi furono trasportati sui siti di interrogatorio, sono state condannate. Uno dei più grandi casi di rendition, quello a Milano contro Abu Omar, è finito con la condanna degli agenti della Cia, mandati di cattura, arresti, richieste di estradizione. Robert Seldon Lady, l’ex capo centro della Cia a Milano, è stato arrestato e poi rilasciato a Panama, dopo la condanna definitiva della Cassazione, insieme ad altri 22 agenti Cia, per il sequestro dell’imam Abu Omar avvenuto il 17 settembre 2003. Fu Lady, infatti, insieme ad altri 007 – e in particolare Jeff Castelli, Betnie Medero, Sabrina De Sousa e Ralph Russomando – a organizzare e coordinare le operazioni degli agenti Cia per la rendition dell’imam finito nel mirino per terrorismo (ha una condanna a sei anni, ma è libero in Egitto). Lady ha ricevuto la sentenza più dura, otto anni di carcere. La magistratura gli ha anche sequestrato la casa in Piemonte: i proventi servivano a pagare i danni ad Abu Omar. Lady ha perso la proprietà. E il suo matrimonio è finito (Lady lo ha raccontato in una rara intervista a Matthew Kaminski per il Wall Street Journal). Stava per finire in carcere Sabrina De Sousa, l’agente che aveva lasciato l’agenzia d’intelligence nel 2009 per trasferirsi in Portogallo. Si è salvata soltanto con la grazia del presidente Mattarella.

 

John Yoo, il giurista che ha scritto il “memo della tortura”, è stato trascinato in giudizio in America e inquisito in Europa

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Macedonia per la rendition di un cittadino tedesco. Le autorità giudiziarie tedesche avevano spiccato ordini di cattura per 13 persone coinvolte nel rapimento di Khaled el Masri. I giudici dell’Unione europea hanno condannato la Polonia per aver ospitato uno dei siti segreti della Cia. La giustizia spagnola ha aperto un fascicolo contro John Yoo e Jay S. Bybee del dipartimento della Giustizia, e William Haynes, l’ex più alto giurista del Pentagono. Infiniti i guai di Yoo, che scrisse il famoso memorandum del 2003 che autorizzava le tecniche di interrogatorio della Cia. Amnesty International ha chiesto di bandirlo dall’albo degli avvocati. “War criminal”, criminale di guerra, gli gridano picchetti di studenti e cittadini al suo ingresso nell’aula Boalt Hall della facoltà di Giurisprudenza del campus. Tre anni fa Erwin Chemerinsky, preside alla University of California della Irvine School of Law, ha chiesto di incriminare Yoo, mentre il giudice tedesco Wolfgang Kaleck ha aperto un’altra inchiesta contro di lui. Un altro giudice americano, Jeffrey S. White, ha consentito che il terrorista Padilla facesse causa a Yoo (con l’assistenza di altri giuristi di Yale). Il dipartimento di Giustizia, per cui il professore lavorava nel 2003, lo ha sottoposto invece a giudizio interno.

 

Gli avvocati del Centro europeo per i diritti costituzionali e umani di Berlino (Ecchr) hanno appena inviato al Procuratore federale pubblico un esposto penale contro la statunitense Gina Haspel, oggi numero due della Cia sotto il direttore Mike Pompeo, ma prima di questo incarico pare coinvolta nella gestione di “Occhio di gatto”, un carcere segreto della Cia in Thailandia, vicino a Bangkok. Haspel aveva ricevuto il compito di supervisionare il sito segreto thailandese e di testate il nuovo programma di “interrogatori avanzati” della Cia. Per la prima volta in Germania una denuncia penale è stata presentata contro un ufficiale che lavora ancora alla Cia. L’Associated Press ha fatto il nome di un agente della Cia, “Albert”, che avrebbe interrogato al Nashiri alla base militare Stare Kiejkuty di Szymany, in Polonia. La direttrice dell’aeroporto, Mariola Przewlocka, è stata chiamata a testimoniare alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ordinato alla Polonia di pagare 262 mila dollari in risarcimento a Nashiri. Chi rischia di più è l’ex capo del servizio di intelligence della Polonia incaricato di aiutare la Cia a creare una prigione segreta per i membri di al Qaida, Zbigniew Siemiatkowski, che deve rispondere delle accuse di aver “illegalmente privato i prigionieri della loro libertà”.

 

Il Wall Street Journal scrive che “la minaccia del terrorismo è peggiore che in qualsiasi momento dall’11 settembre, anche se l’occidente ha limitato la propria capacità di autodifesa. Le spie conoscono il pericolo rappresentato dai nemici, ma non dovrebbero preoccuparsi anche di una rappresaglia politicizzata degli amici”. La persecuzione degli ufficiali coinvolti nella war on terror “invia un messaggio demoralizzante a tutti coloro che servono nell’ombra”. Senza considerare, come ha detto James Mitchell, che a forza di processare quanto è stato fatto “saliremo su un piano morale così alto che guarderemo verso il basso, un buco di fumo dove sorgevano numerosi quartieri di una città”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.