Squatter che non riescono più a pagare l'affitto a causa delle chiusure, Lima, Perù, 22-4-21 (Lapresse)

Hernando de Soto ci racconta come fa politica in Perù e perché vuole privatizzare i vaccini

Maurizio Stefanini

Corteggiato dai due candidati al ballottaggio, l’economista cerca di levare gli estremismi da entrambi. E dice che lo stato non salva il paese dal Covid
 

"Mario Vargas Llosa dice che Keiko Fujimori è il male minore rispetto a Pedro Castillo, ma lui vive in Spagna. Forse sarebbe meglio fare in modo che il male minore si trasformi in un bene maggiore. Per questo sono in trattativa con tutti e due: dopo il voto mi hanno offerto entrambi un posto di ministro”, dice al Foglio Hernando de Soto, l’economista e sociologo peruviano che è stato la grande sorpresa delle presidenziali dell’aprile scorso. Stando ai primi risultati era arrivato al secondo posto, e quindi al ballottaggio, ma poi, per una manciata di voti, si è piazzato quarto.

 

 

Il candidato di sinistra Castillo ha avuto il 18,92 per cento dei voti contro il 13,41 di Keiko Fujimori, l’11,75 dell’imprenditore e esponente dell’Opus Dei Rafael López Aliaga, e l’11,63 per cento di de Soto. “L’idea di candidarmi l’ho avuta più o meno un anno fa”, ci racconta il profeta del capitalismo informale noto in tutto il mondo per i suoi due bestseller “El otro sendero” e “El misterio del capital”. “Una cosa curiosa del Perù è che l’unica proprietà privata che funziona è quella dei partiti politici. Ci sono partiti che appartengono a padroni, a volte anche dal punto di vista legale. Otto di questi caudillos sono venuti uno dopo l’altro a offrirmi una candidatura presidenziale o una parte nelle loro candidature. A quel punto allora ho pensato che potevo correre da solo, anche perché il Covid era già incominciato”.  

 

 

In una nostra conversazione di un anno fa, de Soto aveva ripetuto un  proverbio  popolare in America latina – “Non c’è male che per bene non venga” – e aveva insistito sulla sua idea della  crisi come occasione per formalizzare finalmente la gran massa dei micro-imprenditori informali del Terzo Mondo. “Col coronavirus, molti lavori che dovevo fare si erano bloccati – dice oggi de Soto – Allora ho pensato che da presidente avrei potuto  guidare e realizzare i progetti cui ho sempre pensato. Sembra che io abbia una stima eccessiva di me stesso, ma ho iniziato a rendermi conto che  avevo idee migliori di quello che mi stavano proponendo, in un momento in cui il Perù per la cattiva gestione del coronavirus si trova in uno stato drammatico”.

 

 

Secondo de Soto, “non è solo che non si sono comprati i vaccini o non si è saputo amministrare il problema. E’ che il Covid ha accentuato  la frattura tra classi che è la tragedia del Perù. Io mi riferisco sempre al Perù come a un Sudafrica ‘solapa’. E’ una parola che usiamo in Perù, e che significa ‘nascosta’. E’ una situazione di apartheid, che però nascondiamo.  Non è come era in Sudafrica, dove era chiara la differenza tra bianchi e neri. Qua siamo tutti più o meno meticci, mescolati.  Ma la differenza tra chi è ricco e chi è povero è drammatica. Chi è ammalato e ha una casa con 3, 4, 5 stanze può distribuire i suoi familiari per la casa, e riduce le conseguenze del contagio. Chi vive in sette ammucchiati in una o due stanze viene flagellato dalla pandemia in un modo che le statistiche neanche descrivono, perché questa gente non ha neanche l’abitudine di registrare i propri morti. Anche gestire  la morte per loro è troppo caro, dunque fanno tutto da soli. Si cremano i cadaveri in casa senza comunicarlo alle autorità. Per questo non riusciamo a stimare la cifra esatta delle vittime, ma so che è altissima. Il tagliapietra che mi fa i lavori per la casa aveva quattro fratelli: due sono morti e un terzo è malato. Anche il mio falegname ha quattro fratelli e ne sono morti due”.

 

 

All’inizio dello scrutinio ad aprile de Soto era secondo dopo Castillo, “ma non avevo abbastanza rappresentanti di lista. A poco a poco sono passato  dal secondo al terzo posto, e alla fine dal terzo al quarto. Sia pure per un pelo. Detto in breve: mi hanno rubato voti”. De Soto resta però l’ago della bilancia, ora. “Dopo il voto mi ha chiamato Keiko Fujimori: vorrei che facessi parte del mio governo, ha detto. Subito dopo mi ha chiamato Castillo: vorrei che facessi parte del mio governo, ha detto. Mi ritrovo con un capitale politico, e devo studiare come amministrarlo per togliere il paese da un dilemma spaventoso.

 

 

Castillo viene da una tradizione inquietante. I suoi si definiscono marxisti-leninisti-mariateguisti-maoisti (José Carlos Mariátegui fu una specie di Gramsci peruviano). Sono stati influenzati da Sendero Luminoso e ora sono amici del venezuelano Maduro. Però ho l’impressione che Pedro Castillo sia come sequestrato dal suo stesso apparato politico: è un personaggio molto carismatico, è abile, ha idee proprie. Deve aver capito che il suo partito non ha un programma vero per venire fuori da questa situazione, e mi ha chiesto un appuntamento.

 

Però il partito gli ha vietato di parlare con me, e ora è seguito da membri del suo partito in ogni posto dove va, per impedirgli di vedermi. Anche il New York Times o il Wall Street Journal sembrano affascinati da questo piccolo candidato indigeno che porta il cappello da cowboy e denuncia le ingiustizie. Una cosa molto statunitense. Ma è l’apparato  che permette a Castillo di fare campagna. A un mese dal ballottaggio, previsto per il 6 giugno, la situazione è drammatica. Almeno il 35-40 per cento dei peruviani è in  panico assoluto. Ha paura che si ripeta il copione già visto con Hugo Chávez, con Fidel Castro, con tutti gli altri  di quel mondo politico. Una minoranza bolscevica convoca una Costituente, aumenta gli stipendi dei militari, li coopta  e in uno o due anni ti fa un nuovo Venezuela”.

 

 

Per questo Vargas Llosa dice che Keiko è il male minore.  “Il padre, Alberto Fujimori,  è stato un esempio se non proprio di dittatura di forte autoritarismo, e di  manipolazione della stampa. Lo hanno condannato a 25 anni, e sta in carcere da 16. E la figlia pure è stata in carcere. Ma io avevo previsto il rischio. Lo scrissi nel ‘Mistero del capitale’, quando parlai del fantasma di Marx. Se in un sistema liberale non c’è inclusione, se non si danno alle  classi sociali pari opportunità, avremo un sistema di apartheid nascosto. La Costituzione dice che siamo tutti uguali, ma di fatto c’è gente che non ha diritto a niente. Erano cose che Marx e Lenin avevano articolato bene.

 

Dal momento che il paese si è diviso in due e io sono stato chiamato da entrambi per fare l’ago della bilancia, devo vedere se riesco o a rendere più socialista una candidata di destra che altrimenti ha tutto da perdere; o a liberare un ostaggio del marxismo-leninismo. Ovviamente nella speranza di non essermi sbagliato, e che finisca per essere io l’ingenuo utilizzato da Castillo per convincere i cittadini. Più che il male minore dobbiamo cercare di costruire il bene maggiore dell’inclusione, in un momento in cui con il coronavirus la differenza tra le classi si è molto accentuata. Il comunismo non è altra cosa che un tentativo autoritario di creare inclusione a partire dallo stato. Sto cercando di tirare fuori dalla candidata di destra la risposta capitalista alla alienazione, che consiste nell’economia sociale di mercato, come la definivano Adenauer e Erhard. Bisogna formalizzare il settore informale. Non c’è capitale senza scala, come direbbero Karl Marx e Adam Smith. Se non c’è industria, resteremo sempre una repubblica di artigiani”.

 

 

E la proposta per Castillo? “La proposta per Castillo è differente. Castillo è convinto della inclusione. Gli viene dalla via ideologica, non vuole ingiustizia per quella che Marx avrebbe definito alienazione. Quello che non sa è che l’inclusione può essere fatta non solo da uno stato che abbassa tutto allo stesso livello, ma anche da un mercato che costruisca una economia popolare. Come avvenne ai tempi di John Locke, quando la gente vide che feudalesimo e mercantilismo non funzionavano  e decise di costruire le Borse valori e di liberalizzare l’economia. Altrimenti diventiamo come il Laos, che ha il 10 per cento del pil del Perù o la Bolivia di Evo Morales, che ha metà del nostro pil. O il Venezuela, che ha ridotto il suo pil del 70 per cento e sta spargendo anche da noi milioni di emigranti”. 


 
Una delle  proposte di de Soto che ha fatto più rumore è stata quella di privatizzare i vaccini. “Quello dei vaccini è un mercato come qualunque altro. Ma lo stato peruviano ha problemi a fare gli acquisti, perché con la storia della lotta alla corruzione il carcere è pieno di funzionari pubblici in detenzione preventiva, e tutti hanno paura a mettere firme che potrebbero creare loro guai. Allora bisogna innanzitutto modificare la legge, per superare questa paura. Ma intanto, anche se c’è una sinistra imbecille secondo cui la medicina deve essere di stato per forza, se lo stato non riesce a comprare vaccini o ossigeno, facciamolo fare dai privati. E per privati non intendo solo imprese capitaliste: anche le comunità indigene ne avrebbero tutta la capacità.

 

 

Lo stato può  poi pagare un sussidio per permettere l’accesso a tutti. Intanto chi può fa turismo vaccinale. L’ho fatto anche io: sono andato negli Stati Uniti e mi sono vaccinato subito”. In Perù c’è stato anche il vacunagate. Come in Argentina. “Il vaccino partitocratico. Lo stato ha avuto riserve che sono state utilizzate per i membri delle nomenklature di partito e per i loro amici. Dunque, chi ha contatti fa il vaccino partitocratico. Chi può fa turismo vaccinale. E gli altri muoiono come mosche. La mancanza di inclusione al tempo del coronavirus”.


In “El otro sendero” si raccontava che il suo istituto nel 1983 aveva fatto un’indagine sui tempi di costituzione in Perù di una piccola impresa, chiedendo l’autorizzazione per un piccolo laboratorio di confezioni di abbigliamento, nella periferia di Lima: ci vollero 289 giorni, 11 licenze e l’equivalente di 32 volte il salario minimo in spese per arrivare al risultato. In pratica è lo stesso anche per denunciare un morto o per fare un vaccino. “Esatto. Tramiti, mediatori, tramiti dappertutto. Ma i tramiti sono il risultato di una mancanza di stato di diritto. Del non sapere calcolare il rapporto costi benefici delle norme che vengono emanate. Accade con la povertà, accade con il crimine, accade col denaro, accade con le garanzie, e adesso accade anche col