Isabel Díaz Ayuso, presidente uscente della Regione di Madrid (foto EPA)

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Cosa ci dice della Spagna il vivir a la madrileña di Díaz Ayuso

Guido De Franceschi

Oggi si vota per la presidenza della Regione di Madrid e si assiste a qualcosa di nuovo: la presidente uscente, del Partito popolare, ha molto “madridizzato” la campagna elettorale, insistendo sul concetto di libertà tipico della Comunidad

La Comunidad de Madrid, ovvero la Regione che comprende la capitale spagnola e il suo hinterland, è un “oggetto” strano: è troppo estesa per “coincidere” con la capitale (più della metà dei suoi abitanti vivono fuori dal suo perimetro), ma è troppo schiacciata sulla grande città per avere un’identità a se stante e non essere percepita come un doppione del Comune di Madrid.

E così, fermo restando che Madrid, intesa come città, ha un suo animo inconfondibile, la Regione che la comprende non ha mai avuto un tratto locale distintivo: un’eccezione in una Spagna in cui quasi tutte le zone, anche quelle non agitate dal secessionismo, hanno una forte identità, che si travasa spesso nella competizione politica.

D’altronde, la Comunidad de Madrid – che è la terza Regione della Spagna per numero di abitanti e la prima per prodotto interno lordo – è stata creata un po’ per caso mentre la neonata democrazia, alla fine degli anni Settanta, cercava di ritagliare nella mappa della Spagna interna, e cioè della Castiglia, delle entità amministrative con una composizione demografica che potesse equilibrare gli sbilanciamenti politici delle Regioni più periferiche e più “scivolose” per il potere centrale.

 

Oggi che si vota proprio per la presidenza della Regione di Madrid e per il rinnovo della sua Assemblea si assiste però a qualcosa di nuovo: Isabel Díaz Ayuso, presidente uscente del Partito popolare di centrodestra, ha infatti molto “madridizzato” la campagna elettorale, insistendo sul concetto di “libertà” intrecciato con quello del vivir a la madrileña, ovvero, parole sue, “il tipo di vita e di società che noi abbiamo dato alla Comunidad de Madrid”. Nelle ultime settimane, Ayuso ha accostato acrobaticamente vari elementi. Ha ripetuto concetti di pura propaganda, del tipo “comunismo o libertà!” (sic). Ha raccontato che, subito dopo la tempesta Filomena dello scorso gennaio, nella capitale spagnola “tra montagne di neve c’era gente in strada con i tavolini, le sedie e la birra. Alle dieci di sera. Questo è vivere à la madrilena” (ed è chiara l’allusione all’“aperturismo” che proprio lei ha promosso durante la fase più recente della pandemia). E ha fatto l’elogio della metropoli, dicendo che “a Madrid puoi cambiare fidanzato e non incontrarlo mai più” o “cambiare lavoro e non imbatterti mai più nel tuo ex capo” e che “anche questa è libertà”.

Ora: l’inesauribile vitalismo e l’inclinazione per tapas&cañas appartengono ai madrileni di ogni orientamento politico e sono preesistenti all’arrivo della Ayuso alla presidenza della Regione (e pare che anche l’anonimato garantito dalle grandi città non sia attribuibile alla sola amministrazione del Pp). Ma è innegabile che l’insistenza sulla parola “libertà” abbia avuto forte presa sull’elettorato, specie nella fase di uscita, o almeno così si spera, dalle strettoie imposte dalla pandemia.

Eppure, proprio queste elezioni regionali così madridizzate hanno in realtà una particolare importanza a livello nazionale. I popolari sognano di ottenere da soli la maggioranza assoluta a Madrid, un risultato che scuoterebbe con forza tellurica la premiership del socialista Pedro Sánchez – e un trionfo della Ayuso potrebbe addirittura indurla a contendere a Pablo Casado la guida del Partito popolare. Ma se invece, com’è molto più probabile, i popolari, pur con una larga vittoria (i sondaggi li collocano intorno al 40 per cento), avessero bisogno un’altra volta dell’appoggio dell’estrema destra sovranista di Vox, questo sarebbe un sollievo per Sánchez che potrebbe intonare ancora per anni, da Cadice a Irun, i ¡No pasarán! antifascisti già risuonati durante la campagna elettorale madrilena.

Da parte sua proprio Vox, che nelle previsioni avrà un ruolo decisivo nonostante un risultato elettorale non entusiasmante, dovrà decidere se prendersi il rischio di entrare finalmente in un governo oppure se continuare a fare una disinvolta voce grossa nei comizi per poi cedere a un timido rossore davanti alle responsabilità amministrative.

Intanto, i centristi di Ciudadanos lottano per la vita: a Madrid gli aruspici li collocano sotto la soglia di sbarramento del 5 per cento e, se le urne confermassero i vaticini, per la loro leader Inés Arrimadas sarebbe davvero difficile impedire l’implosione del partito in tutto la Spagna.

Anche per il Psoe di Sánchez sarà complicato maneggiare il risultato delle elezioni madrilene di oggi. Molto probabilmente le perderà. Ma, a meno che il Pp ottenga un’improbabile maggioranza assoluta, anche nella sconfitta il premier potrebbe approfittare dei risultati altrui a Madrid e cioè, per quanto possa sembrare un paradosso, della debolezza dei suoi alleati di governo di Podemos e della vittoria dei suoi avversari del Pp.

Infatti se un cattivo risultato della sinistra radicale a Madrid rischia di portare un po’ di nervosismo nell’esecutivo, Sánchez, che già si è liberato di un alleato ingombrante, visto che Pablo Iglesias ha lasciato la carica di vicepremier proprio per candidarsi alle Regionali, potrebbe però avere le mani un po’ più libere per l’azione di governo mentre i suoi alleati di Podemos si riorganizzano.  

E invece, per quanto riguarda il Pp, se una buona affermazione  della Ayuso restituirebbe autostima elettorale al partito di centrodestra dopo la débâcle catalana, lo costringerebbe però a prolungare i suoi dilemmi interni (centro moderato o destra disinibita?) ed esterni (che relazione instaurare con Vox?), rallentandolo nell’elaborazione di un’alternativa univoca a Sánchez.

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