Se non Bibi, chi?

In Israele sta vincendo di nuovo Netanyahu

“Non deve passare l'idea che la stabilità di Israele dipenda da un uomo”. Intervista a Barak Ravid

Micol Flammini

Nella quarta elezione in due anni l'affluenza è stata bassa, ma il Likud è sempre e ancora il primo partito. Sono le alleanze il problema del superpremier

Non è stato un voto soltanto su Benjamin Netanyahu, il premier che governa Israele dal 2009,  è stato “qualcosa di più polarizzante. Chi dice sono pro Bibi o contro Bibi dà un giudizio sulla visione del mondo del premier”, dice al Foglio Barak Ravid, che per il sito americano Axios cura una newsletter piena di notizie e storie da Tel Aviv.  Gli israeliani sono tornati a votare per la quarta volta  in due anni e il partito più votato rimane il Likud di Netanyahu che, secondo la media degli exit poll, avrebbe ottenuto 32 seggi sui 120  della Knesset. Yesh Atid di Yair Lapid è al secondo posto con 17  seggi, Yamina di Naftali Bennett, probabile ago della bilancia di queste elezioni, ha 7 seggi e Gideon Sa’ar, uscito dal Likud per sfidare il premier, soltanto 6. Meno di Benny Gantz, leader di Kahol lavan ed ex alleato  di Netanyahu sceso a   7 seggi, dai 33 dell’ultimo voto. Tutti rincorrevano il premier: qualcuno è pronto a  formare con lui  un governo “fortemente di destra”, come lo ha definito Netanyahu; qualcuno è pronto a unirsi in un fronte anti Bibi, non è importante l’ideologia – Sa’ar e Lapid sono agli antipodi: l’importante è allontanare il premier. “Questi fronti hanno dominato il dibattito elettorale, sono scomparsi tutti gli altri temi: l’economia, la sicurezza, la questione palestinese”: ieri da Gaza è stato lanciato un razzo contro la città di Beer Sheva, dove Netanyahu era in visita.  Israele è un paese stabile, con una democrazia solida, delle istituzioni sicure e mantiene queste  caratteristiche nonostante il ripetersi delle elezioni, nonostante le coalizioni traballanti che vengono giù di continuo  e che hanno come unico elemento di continuità la premiership di Benjamin Netanyahu. 

 

Un paese in continua campagna elettorale che riesce in cose straordinarie, come l’organizzazione di una campagna di vaccinazione che tutto il mondo invidia. Secondo Ravid la pandemia ha danneggiato molto la popolarità di Netanyahu, i sondaggi mesi prima della crisi gli assegnavano 40 seggi: “Ha perso molti punti e la campagna di vaccinazione lo ha aiutato a tirarsi su, ma non quanto avrebbe voluto”. Ravid è molto severo con il premier, il suo attaccamento alla carica è anche legato ai suoi guai giudiziari, è accusato di corruzione e abuso d’ufficio, “la politica per lui è diventata una questione  personale”.  Oltre alla sua sopravvivenza, nell’agenda di  Benjamin Netanyahu non mancano però anche i risultati. Oltre alla vaccinazione, la normalizzazione dei rapporti con Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Oman, altri ne seguiranno, e sono stati un risultato storico per gli israeliani, realizzato anche grazie al rapporto   tra il loro premier e l’ex presidente americano. “Trump è stato una  risorsa per Bibi, lo ha usato per ottenere favori grandi e piccoli. Il riconoscimento delle alture del Golan prima della prima elezione. La promessa di un trattato di difesa (che non si è fatto) prima della seconda. La presentazione del piano di pace prima della terza. Ora con Biden è più difficile e Netanyahu ha cercato altre relazioni da sfoggiare, come quella con l’emiro Bin Zayed, che però ha preferito tenersi fuori dagli affari elettorali”. 

 

Israele, a guardare i risultati di ieri, continua a far fatica a immaginarsi senza Netanyahu, sarà abitudine, ma sarà anche fiducia. Una fiducia che, dopo Gantz, nessuno è più riuscito a incarnare. Per Barak Ravid però in qualche modo passa il messaggio sbagliato che sminuisce il paese, cioè quello secondo cui è  un uomo a determinare la stabilità di Israele e non il paese a essere una democrazia solida. “Israele è un paese moderno con delle istituzioni forti che se un giorno Bibi dovesse perdere rimarrebbe in piedi.  Chiunque abbia abbastanza sostegno per diventare il futuro primo ministro dopo Netanyahu potrebbe governare questo paese”, che continua a oscillare tra  stabilità e instabilità, un uomo forte e tanti appuntamenti elettorali. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.