Dopo il voto

Sigrid Kaag e il lusso tutto olandese dei liberali al comando

Così la leader dei D66 è passata dai negoziati sulle armi chimiche del regime siriano alla guida del secondo partito più votato dei Paesi Bassi. La passione per il medio oriente, la famiglia multiculturale, la leadership delle donne e quel messaggio adulto che sa di ottimismo

Paola Peduzzi

Secondo gli analisti, la famiglia multirazziale e la leadership femminile in un paese “in cui la politica è sempre stata fatta dagli uomini”, dice Kuper, hanno contribuito molto all’ascesa dei D66. Un voto politicamente corretto, segno dei tempi? Non proprio. La Kaag ha costruito una forza progressista attenta a clima, diritti e inclusione partecipando a un governo frugale e austero sull’economia, portavoce in Europa di una visione rigorosa dell’utilizzo del denaro pubblico

Il centro della politica in Olanda “è molto grande”, dice Simon Kuper, editorialista del Financial Times, “gli olandesi amano il loro sistema che mette insieme partiti di centro, un sistema che è il frutto di un approccio manageriale alla politica: in Italia per avere politiche di centro e moderate dovete chiamare dei tecnici, in Olanda, competenza e pragmatismo sono parte del sistema”. Mark Rutte, premier che si avvia verso il quarto mandato dopo che il suo partito, il Vvd, si è confermato il più votato, è soprannominato “Mister Normal”, ed è apprezzato perché guida il paese come farebbe un manager, poche ideologie molte cose pratiche. Questo approccio centrista e coalizionista rende la politica olandese “parecchio prevedibile”, dice Kuper, ma la prevedibilità non va confusa troppo con l’immobilismo, perché anche qui le sorprese ci sono, succedono: Sigrid Kaag, leader del partito liberale di sinistra D66 arrivato secondo, è la sorpresa di queste elezioni olandesi, le prime a livello nazionale in Europa. La sorpresa era tutta negli occhi della Kaag, che guarda la tv aspettando l’exit poll con l’aria inconfondibile dell’attesa preoccupata e quando poi compare sullo schermo il numero dell’exploit, lei scatta, batte la mano sul tavolo come per dire “lo sapevo che ce l’avrei fatta”, e poi ci sale su quel tavolo, alza le braccia, si gode l’applauso e gli urli dei suoi collaboratori, con un sorriso grande così: grazie.

“Sigrid Kaag rappresenta gli olandesi molto istruiti e molto europeisti”, dice Kuper, e soprattutto consente quella convergenza liberale, di destra e di sinistra, che non siamo più abituati a vederci intorno, perché il centro altrove è più strettino e la tentazione di posizionarsi nel proprio alveo tradizionale è forte anche in paesi culturalmente centristi come la Germania. Ma Kaag non è soltanto la conferma di un sistema che funziona in un certo modo.

Sessant’anni a novembre, figlia di musicisti, cattolica, Kaag ha studiato arabo alla Università di Utrecht, ha preso un dottorato alla Università americana del Cairo e ha studiato relazioni internazionali nei migliori atenei europei, da Oxford all’Ena francese (parla sei lingue). Voleva fare la carriera diplomatica e dopo pochi anni al ministero degli Esteri olandese, ha iniziato a lavorare per diverse agenzie delle Nazioni Unite, in medio oriente soprattutto, la sua passione, la sua ambizione, la terra straniera cui si sente più affezionata. Nel 2013, ha preso la guida della missione congiunta dell’Onu e dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche in Siria con l’obiettivo di smantellare l’arsenale chimico del dittatore di Damasco, Bashar el Assad. Nel 2013, Assad aveva fatto il suo primo attacco chimico contro i siriani, in cui morirono millequattrocento persone: in Siria abbiamo visto ogni genere di brutalità, ma le immagini di adulti e bambini che morivano schiumando dal naso e dalla bocca, soffocati, con gli occhi terrorizzati, non sono dimenticabili. Sembrava che, superata l’invalicabile linea rossa dell’utilizzo di armi chimiche, la comunità internazionale sarebbe intervenuta contro Assad, ma non accadde. Arrivarono gli ispettori dell’Onu e dell’Organizzazione per censire e dislocare tutte le armi chimiche che Assad avrebbe consegnato: la Kaag guidava quel team, i funzionari del regime siriano dicevano di lei “è più uomo di qualsiasi uomo”. Alla fine della missione, la Kaag che per più di un anno ha ripetuto che bisognava muoversi, non c’era tempo da perdere, disse: “Nessuno ha mai sostenuto che occuparsi delle armi chimiche avrebbe risolto il problema ben più grande della Siria”. Disse anche che se sei un genitore siriano, non ti importa più di tanto se tuo figlio è morto per il sarin o per una bomba chiodata: è morto. Però si rendeva conto che quella missione era “altamente simbolica”, per quanto non avesse potuto essere del tutto efficace, ed era un primo passo, “l’esempio di come può funzionare la comunità internazionale quando agisce insieme”, la premessa. Si sbagliava, ma ci credeva.

Dopo l’esperienza in Siria, la Kaag andò in Libano e lì cominciò a pensare di ritornare in Olanda: nel 2016, in un’intervista a Vogue (edizione locale) in cui si era fatta fotografare con il look che ama di più – gioielli, smalto  e rossetti rossi, capelli indietro: non si vedono le scarpe, ma pare che nessuno, tranne i parenti stretti, l’abbia mai vista senza tacchi – raccontava del mutuo appena negoziato, della voglia di tornare a casa, del desiderio di far vivere ai suoi quattro figli il bello dell’Olanda e le sue opportunità. Nel 2017, era rientrata nel suo paese e direttamente era finita dentro l’esecutivo del premier Rutte (al terzo mandato), come ministro per il Commercio e lo Sviluppo internazionale e poi degli Esteri. L’anno scorso, l’annuncio della sua candidatura a premier per i D66 non sorprese nessuno. D66 sta per “Democratici 66”, e il numero si riferisce all’anno della  fondazione, il 1966, quando un gruppo di giovani intellettuali guidati da Hans van Mierlo, che allora aveva poco più di trent’anni e che poi sarebbe diventato il volto più nuovo di questa formazione, decise di dare vita a un partito che portasse avanti battaglie per i diritti e riforme economiche. Ha avuto vicende alterne, ma questo suo ultimo anno è stato caratterizzato moltissimo dalla Kaag, al punto che anche i sondaggi non avevano registrato del tutto l’ascesa.
L’estrema destra, soprattutto Geert Wilders, il leader del Pvv che contava su un secondo posto che comunque non gli ha mai garantito un ruolo nel governo, ha cercato di attaccare la Kaag soprattutto per il suo passato “internazionalista” e “umanitario”. Per un’ideologia che vuole ripiegare i paesi su loro stessi, la Kaag risulta il bersaglio migliore. Per di più che è sposata a un palestinese, e nemmeno uno qualsiasi: Anis al Qaq, di quindici anni più anziano della moglie, era stato negli anni Novanta ministro del governo di Yassir Arafat in Cisgiordania. C’è stata a un certo punto una campagna per definire la Kaag una “simpatizzante dei terroristi”, ma nella sua carriera internazionale le era capitato talmente tante volte di essere criticata da tutti gli interlocutori che, non parlandosi tra loro, se la prendevano con il mediatore, che non si lasciò trascinare né nelle accuse né nel vittimismo. Anzi, ha pronunciato un discorso molto efficace qualche tempo fa smontando le ragioni della campagna di boicottaggio di Israele.

La Kaag però ha raccontato spesso quanto è complicata la vita di chi “ha la pelle un po’ più scura”, piccoli episodi di quotidiano scetticismo, per cui suo marito viene preso per il fattorino e lei deve specificare di essere la madre naturale dei suoi figli. Così come guida lei quando vanno (andavano) a sciare in Svizzera, perché altrimenti alla dogana vengono fermati di sicuro. Così come sua figlia ha deciso di mettere in una richiesta di stage il cognome della madre e non quello suo, del padre: “Bingo — ha detto la Kaag — E’ stata chiamata subito”. Lei dice che il razzismo esiste ancora, che l’Olanda è un paese colonizzatore e questo elemento resta ancora nella cultura attuale, “a volte soffro quando mi sento straniera nel mio paese”, ha detto.

 

Secondo gli analisti, la famiglia multirazziale e la leadership femminile in un paese “in cui la politica è sempre stata fatta dagli uomini”, dice Kuper, hanno contribuito molto all’ascesa dei D66. Un voto politicamente corretto, segno dei tempi? Non proprio. La Kaag ha costruito una forza progressista attenta a clima, diritti e inclusione partecipando a un governo frugale e austero sull’economia, portavoce in Europa di una visione rigorosa dell’utilizzo del denaro pubblico. Quando il Partito laburista ha fatto un tratto di governo con i conservatori, ne è uscito a pezzi. Il D66 e la Kaag invece ne sono usciti più forti, la risposta moderata a un’altra forza moderata, un centro in cui specchiarsi. Lei interpreta la sua leadership di donna dicendo: “Non è facile, non è mai facile. Se la vuoi facile, non muoverti, stai fermo, stai a casa: non cambiare nulla. E’ una questione di scelte”. Molte donne si sono risentite, altre si sono immedesimate: non è mai facile.

Ma quando dopo il voto ha detto che gli olandesi sono pronti per un po’ di ottimismo, tutti si sono fermati ad ascoltarla: “Ho sempre pensato, e stasera lo vedete tutti, che gli olandesi non sono estremisti, che sono moderati. E che rispondono alla positività”. Elettori adulti trattati da adulti, da una signora liberale: il lusso di paesi in cui al centro si sta comodi. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi