Kamala Harris (LaPresse)

Questa elezione la decidono le donne

Luciana Grosso

Terzo giorno di convention democratica. Dal discorso della vice Kamala Harris a quello di Hillary Clinton, all'attacco di Obama contro Trump. Ma la partita delle elezioni è ancora aperta e da qui a novembre tutto può succedere

Si è chiuso il terzo giorno di convention democratica. Al solito, proviamo a fare i conti in tasca a quel che ci portiamo a casa da questa terza notte: che partito democratico abbiamo visto? Che storie ci siamo fatti raccontare? Che promesse abbiamo raccolto?

 

Trump potrebbe vincere di nuovo

Il partito democratico promette di “Build Back Better America”. Bene. Solo che prima di ricostruirla, l’America, occorre riuscire a governarla. E la faccenda potrebbe essere più complessa del previsto. Forse persino più complicata di ricostruirla. Anche se quasi tutti fanno finta di niente e se ne vanno in giro fischiettando, che la partita delle elezioni sia completamente aperta è cosa autoevidente: da qui a novembre manca una vita, c’è una pandemia di mezzo, e qualche scandalo, anche inventato di sana pianta, ai danni di Biden potrebbe sgretolare il suo vantaggio. Allo stesso modo, Donald Trump, potrebbe tirar fuori dal cilindro chissà quale trovata per ampliare il suo consenso. Tutto può succedere in poco più di due mesi. E nessuno, dalla parti della convention, sembra davvero tranquillo. Nessuno sembra sentirsi davvero al sicuro. Così, i relatori della Convention si sono dati da fare, più di tutto, sugli appelli al voto: “This can't be another woulda, shoulda, coulda election”, dice la capa mondiale del ‘what if’ Hillary Clinton, una che delle conseguenze del fatto che molti elettori democratici non siano andati a votare, nel 2016, ne sa molto. Ma non è stata solo la candidata sconfitta da Trump nel 2016 a insistere sulla questione voto. Anche Nancy Pelosi, Eliesabeth Warren, Barack Obama, Kamala Harris. E l'impressione che si ha, dall'accoratezza dei loro appelli, dalla forza con cui lodano e spingono la candidatura di Biden, è che non si fidino del tutto del loro candidato. Come se pensassero che sì, Joe Biden è una gran brava persona e un candidato eccellente per unire, federare, pacificare. Ma, lo sanno anche loro, non basta. Per vincere le elezioni occorre anche essere trascinatori, sognatori, mobilitatori. Occorre mettersi in una piazza e urlare “Yes We Can”. Occorre dare alle persone un progetto concreto da sognare e da immaginare ad occhi chiusi. Altrimenti, almeno in America, si fa fatica.

  

 

   

Questa elezione la decidono le donne

Quasi tutta la serata di ieri è ruotata attorno all’anniversario dell’approvazione del XIX emendamento (quello che riconosce il diritto di voto alle donne) e delle figure femminili più importanti del partito. La candidata vice presidente Kamala Harris, la ex candidata Hillary Clinton, la leader democratica più importante in grado, Nancy Pelosi, la candidata alle primarie Elizabeth Warren, la ex deputata Gabby Gifford, sopravvissuta, più per fortuna che per altro alla sparatoria di un pazzo.

 

Tanta attenzione si spiega con il fatto che, il voto delle donne, specie di quelle nere, è stato il grande assente delle elezioni del 2016. Gli analisti politici lo sanno e si stanno dando da fare perché non accada più. Non solo (o almeno non tanto) per interesse per le loro opinioni, ma perché dalle rilevazioni, risulta che le donne per lo più detestino Donald Trump, non ne sopportino il modo di fare da predatore, la sua volgarità, il suo atteggiamento da maschio alpha. Così via non solo a riempire il panel di donne, ma anche a spingere sull'acceleratore del fatto che la legge contro la violenza domestica ha avuto come primo firmatario il padre single Joe Biden.

   

 

  

L’Obama furioso

Può piacere o no, se ne può ricordare la Presidenza come un sogno o come un incubo, ma sull’arte oratoria di Barack Obama nessuno ha mai avuto niente da dire: anche chi lo detesta ne vede (anzi, ne ode) il prodigio. Barack Obama ha uno strano potere demiurgico nella voce: dice le cose e quelle subito diventano vere, come se le creasse con la voce. Quello che Obama ha fatto ieri è stato un intervento di rara gravità, soprattutto perché fatto da un ex presidente all’attacco di un suo successore. Non capita spesso. Galateo istituzionale vuole che gli ex presidenti siano molto cauti nel criticare i loro successori. Sì certo, si può fare. Ma sempre molto all’interno delle righe, perché comunque si tratta di colleghi impegnati a svolgere con dignità e come meglio credono e sanno i lavoro più difficile del mondo. Ma ieri Barack Obama, non ha fatto niente di tutto questo e ha usato verso il suo successore parole durissime: "Non mi sarei mai aspettato che il mio successore avrebbe abbracciato la mia visione o avrebbe continuato le mie politiche – ha detto Obama dicendo che una presidenza antitetica alla sua era, tutto sommato, nell’ordine delle cose – Speravo, per il bene del nostro paese, che Donald Trump potesse mostrare un certo interesse a prendere sul serio il lavoro. Ma non l'ha mai fatto. Donald Trump non è stato capace di fare il presidente perché non può. E le conseguenze del suo fallimento sono gravi: 170.000 americani morti. Milioni di posti di lavoro andati. I nostri peggiori impulsi si sono scatenati, la nostra orgogliosa reputazione in tutto il mondo è gravemente diminuita e le nostre istituzioni democratiche sono state minacciate come mai prima d'ora".

  

 

 

Kamala Harris

In un mondo migliore di questo, forse, Kamala Harris sarebbe stata la candida Presidente. Ma il mondo è quello che è e bisogna farci i conti. Così, Kamala Harris, democratica della California (ergo più a sinistra della media degli altri democratici, eccezion fatta per la sola New York), preparata e carismatica, ha accettato ieri la nomination a vice dell’anziano e moderato Joe Biden. Bene. Ma non benissimo, dai. Nel suo discorso di accettazione, comunque, Kamala Harris, per non spaventare nessuno (e perché, ehi, è pur sempre una donna, ed è bene non si allontani troppo dalla cucina) la senatrice ed ex procuratore generale della California ha dedicato gran parte del suo tempo a parlare della sua famiglia, al suo ruolo di figlia, moglie, madre, sorella, zia, eccetera. Poi, una volta rassicurato il pubblico, garantendo di essere, prima di tutto, un angelo del focale, ha tirato fuori le unghie da ex procuratore impegnato nel recupero di denaro riciclato e di senatrice impegnata a contrastare Donald Trump e la sua presidenza. Ha raccontato la sua storia di donna asiatica e nera e la sua visione dell’America dei prossimi quattro anni: un posto in cui nessuno resta indietro “non importa che aspetto abbiamo, da dove veniamo o chi amiamo: siamo tutti i benvenuti e abbiamo tutti gli stessi diritti”. L’idea è buona. Ma, come dicevamo, occorre farsela votare.

  

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