I fondatori di Demosisto si dimettono dall'organizzazione pro-democrazia dopo l'approvazione della nuova legge da parte del governo cinese (foto LaPresse)

Se mi invadi mi cancello

Eugenio Cau

A Hong Kong il regime approva la legge anti libertà, e i manifestanti democratici spariscono dai social per paura

Milano. Da qualche giorno sui social network hanno cominciato a sparire i profili degli attivisti e dei manifestanti di Hong Kong. Account che fino a poco prima pubblicavano le immagini delle proteste, riprendevano gli slogan dei movimenti e inneggiavano alla democrazia e alla libertà su Twitter, Facebook e Instagram sono diventati bianchi, irraggiungibili, e per una volta non è un atto di censura del regime comunista cinese. I proprietari dei profili hanno cancellato la loro presenza da internet per paura, dopo che ieri notte è entrata in vigore in città la nuova legge sulla Sicurezza nazionale.

 

Kedros Ng, un ingegnere di 31 anni, ha raccontato a Vice che pochi giorni fa ha scaricato tutti i suoi dati da Facebook e poi ha cancellato il suo account. Su Twitter sono centinaia i profili eliminati, e chi resta conta tutti quelli che se ne sono andati per paura della repressione. “hk wuliff”, un artista che sostiene le proteste, ha postato lo screenshot di un profilo cancellato scrivendo: “Un buon amico se n’è andato”. Un giovane professore di scuola che ha chiesto di rimanere anonimo ha raccontato a Nikkei Asian Review di aver modificato il suo nome su Facebook, cambiato la sua foto profilo e cancellato tutti i suoi post politicamente sensibili. Si è anche messo a scorrere la lista dei suoi contatti, perché “siamo molto spaventati che potremmo essere traditi dai nostri cosiddetti amici online”. Gli attivisti che animavano i gruppi su WhatsApp e Telegram cancellano i messaggi compromettenti, o i gruppi interi. Questa grande sparizione di voci di Hong Kong da internet è la prova che, al momento dell’entrata in vigore della legge, l’autoritarismo è calato sulla città.

 

La nuova legge sulla Sicurezza voluta dal Partito comunista, approvata ieri e le cui specifiche sono rimaste segrete fino a notte fonda, criminalizza le attività di secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze estere e consente per la prima volta alle autorità di polizia cinesi di installare un ufficio sul territorio della città per perseguire i presunti crimini. Le pene sono molto severe e i nuovi reati sono estremamente ampi (per esempio vandalizzare le strutture della metropolitana durante una manifestazione, come è successo spesso nelle proteste degli scorsi mesi, sarà considerato terrorismo), e consentiranno al regime tutto il margine necessario per reprimere il dissenso e schiacciare le richieste di democrazia e rappresentatività. In teoria la legge non è retroattiva: chi fino a ieri ha compiuto azioni che ricadrebbero nei nuovi reati non dovrebbe subire conseguenze. Ma lo stato di diritto a Hong Kong è ormai così labile che nessuno si fida più. Ieri Demosisto, il movimento pro democrazia che dal 2016 è il fulcro delle proteste per la libertà, ha dapprima annunciato la fuoriuscita dei suoi quattro fondatori, tra cui Joshua Wong, e poi lo scioglimento dell’intero gruppo. Alcuni attivisti molto in vista stanno considerando di emigrare all’estero, ieri sul canale Reddit dedicato a Hong Kong c’era una guida dei posti migliori dove scappare (Taiwan prima opzione). Jimmy Lai, il fondatore del quotidiano democratico Apple Daily, ha scritto su Twitter che lui e Joshua Wong potrebbero essere i primi bersagli della repressione. Non è un caso, forse, che il Global Times, tabloid del Partito comunista, di recente abbia descritto Wong come un “secessionista”, ergo un criminale.

 

In giro per la città molti negozi che in questi mesi avevano sostenuto i manifestanti e che avevano perfino creato un gruppo di negozi “gialli” a favore delle proteste (le attività filo polizia erano invece i negozi “blu”) hanno cominciato a staccare dalle loro vetrine i manifesti e gli adesivi pro democrazia, e alcuni hanno annunciato ufficialmente di non voler più essere considerati “gialli” per paura di subire conseguenze ora che la legge sulla Sicurezza è entrata in vigore. Lo Strait Times ha scritto che nelle redazioni giornalistiche, come per esempio quella della tv pubblica RTHK, cominciano a circolare memo sul modo corretto di coprire le notizie.

 

Oggi 1° luglio è l’anniversario della restituzione di Hong Kong alla Cina da parte del Regno Unito. I manifestanti avevano organizzato una grande protesta democratica, che ancora non è stata cancellata. Non si sa quanti avranno il coraggio di scendere in strada, ora che Pechino si è mangiata via buona parte delle vecchie libertà.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.