David Frost (a sinistra) con Michel Barnier (foto LaPresse)

David Frost, il negoziatore di Boris

Gregorio Sorgi

La delegazione britannica è arrivata a Bruxelles per le trattative sulla Brexit. Chi è il diplomatico-tecnico che ha già messo lo zampino nell’accordo di ottobre

Londra. Michel Barnier oggi si è confrontato con David Frost, il nuovo capo negoziatore di Londra sulla Brexit. Le due parti si sono incontrate a Bruxelles per inaugurare il primo round di trattative sui rapporti futuri tra Regno Unito e Unione europea. Il premier Boris Johnson ha delegato il negoziato con l’Ue a Frost, un fedele consigliere che condivide le sue stesse idee sulla Brexit. L’ex diplomatico è uno dei pochi funzionari a credere che l’uscita dall’Ue sia un’opportunità per la Gran Bretagna. Malgrado le differenze caratteriali, Frost e Johnson vengono da un percorso simile - entrambi hanno studiato materie classiche a Oxford verso la fine degli anni Ottanta. All’epoca Johnson era il presidente dell’Associazione studentesca, e aveva già acquisito grande notorietà tra il corpo studentesco. Frost invece viene descritto come un ragazzo timido e introverso, tanto che molti dei suoi colleghi universitari intervistati dalla Bbc fanno fatica a ricordarsi di lui. Sia Johnson che Frost si sono convertiti alla causa euroscettica a Bruxelles all’inizio degli anni Novanta. Il premier era un giovane giornalista del Daily Telegraph, le cui polemiche contro l’allora Commissione Delors gli valsero la stima dell’establishment thatcheriano. Frost all’epoca era un oscuro funzionario della rappresentanza permanente britannica a Bruxelles, che muoveva i primi passi nel mondo della diplomazia e intanto maturava un sentimento anti europeista.

  

 

Le credenziali da brexiteer di Frost, oltre alle sue grandi competenze tecniche, lo hanno reso uno dei più fidati collaboratori di Johnson, prima al ministero degli Esteri e poi a Downing Street. L’ex diplomatico, che viene soprannominato “Frosty” (gelido) per il suo carattere, è stato uno dei registi dell’accordo raggiunto con l’Ue a ottobre. Ma nei prossimi nove mesi dovrà affrontare una missione ancora più complicata. I primi due ministri della Brexit - David Davis e Dominic Raab - si sono dimessi in polemica con l’allora governo May. Stephen Barclay, l’ultimo a ricoprire l’incarico, è stato rimosso nel rimpasto di governo nonostante avesse negoziato l’accordo di recesso con l’Ue. 

 

 

Pur non essendo un politico di razza, Frost si sta abituando a essere il frontman della trattativa con l’Ue e ad usare toni poco diplomatici. Il suo discorso recente a Bruxelles è stato un duro attacco al modus operandi dell’Ue e una conferma della sua fede euroscettica. Frost ha accusato i funzionari di Bruxelles di non avere compreso fino in fondo le ragioni della Brexit, e di avere trattato il referendum del 2016 “come fosse un orrendo disastro naturale, simile alla meteorite che ha annientato i dinosauri”. L’ex diplomatico ha spiegato con dovizia di particolari gli obiettivi della Gran Bretagna nella trattativa, facendo una buona impressione sulla platea europeista. 

 

Johnson ha delegato il negoziato con l’Ue a un tecnico nella speranza di rimuovere ogni significato politico dalla trattativa. Frost non sarà “il ministro della Brexit” ma “il negoziatore capo”, e non avrà a disposizione un dipartimento di stato ma un gruppo di esperti. Il governo sostiene che l’uscita dall’Ue sia già avvenuta - la parola “Brexit” non viene più usata nei discorsi e nei comunicati ufficiale - e insiste che i prossimi nove mesi verranno dedicati agli aspetti tecnici del divorzio. 

 

In realtà Londra e Bruxelles si trovano distanti su molti temi fondamentali, e sarà difficile raggiungere un compromesso entro la scadenza del 31 dicembre 2020. L’Ue prevede che la Gran Bretagna resti allineata agli standard europei in molti campi - tra cui diritti dei lavoratori, aiuti di stato e tutele ambientali - come condizione per continuare ad accedere al mercato unico. Londra crede che questa pretesa sia inaccettabile, e farebbe venire meno la ragione stessa della Brexit. Anche il tema della pesca è diventata una questione di principio per il governo britannico, che non intende fare alcun passo indietro. L’Ue ha chiesto alla Gran Bretagna di continuare a garantire l’accesso alle proprie acque territoriali ai pescatori europei. Ma il governo di Londra ha ribadito di volere riconquistare la sovranità dei propri mari.