Le ballerine dell'Opera di Parigi si esibiscono di fronte al Palais Garnier (foto LaPresse)

Le ballerine dell'Opéra in sciopero contro Macron sono delle privilegiate?

Mauro Zanon

Godono di un regime pensionistico speciale che va avanti da Luigi XIV e non vogliono perderlo. Il dibattito coinvolge il governo

Parigi. Le immagini della protesta in tutù delle ballerine dell’Opéra di Parigi contro la riforma delle pensioni del presidente Emmanuel Macron hanno fatto il giro del mondo. “La cultura è in pericolo”, si leggeva la scorsa settimana sugli striscioni affissi alle spalle delle danseuses, che sulla gradinata del teatro hanno eseguito il quarto atto del Lago dei cigni di Cajkovskij. “Anche se siamo in sciopero, il 24 dicembre volevamo offrire un momento di grazia. Nonostante il freddo, le ragazze hanno voluto affrontare la sfida”, ha detto con toni da capopopolo Alexandre Carniato, ballerino e portabandiera della rivolta da delegato sindacale della Cgt, il sindacato più ostile alla riforma del sistema previdenziale. Il corpo di ballo dell’Opéra de Paris, come i macchinisti della Scnf, le ferrovie francesi, difende il mantenimento del suo regime speciale, che risale al 1698 (fu Luigi XIV a instaurarlo) e permette alle ballerine di andare in pensione a 42 anni, ossia vent’anni prima della media dei lavoratori. La loro protesta, in questi giorni, ha raccolto la solidarietà di tutto il milieu culturale francese, ma è diventata soprattutto il miglior pretesto da parte dell’opposizione per attaccare l’Eliseo, accusandolo di non rispettare la Cultura con la C maiuscola e di voler “gettare nel cestino 350 anni di storia della danza classica” (parole del cgtista Carniato).

 

 

L’esecutivo, che non vuole certo passare per nemico della cultura, ed è ben consapevole dell’importanza, simbolica e non, dell’exception culturelle, ha provato a correre ai ripari, come spiegato sabato dal Monde. Il ministro della Cultura, Franck Riester, e il nuovo segretario di stato con delega alle Pensioni, Laurent Pietraszewski, hanno scritto una lettera al direttore dell’Opéra de Paris, Stéphane Lissner (che ad aprile sarà il nuovo sovrintendente del San Carlo di Napoli), proponendo di rendere effettivo il nuovo sistema per i ballerini e le ballerine che entreranno nel prestigioso corpo di ballo parigino a partire al 1° gennaio 2022.

 

 

“La riforma entrerà in vigore per i ballerini reclutati dopo il 1° gennaio 2022, mentre per coloro che verranno reclutati prima di questa data verranno mantenute le regole attuali”, si legge nella lettera consultata dall’Afp. Nella stessa, oltre a proporre “un dispositivo di riconversione professionale” per i ballerini che abbandonano il corpo ogni anno (sei in media negli ultimi cinque), hanno invitato Lissner, ma anche il direttore della Comédie-Française (l’altro regime speciale nel mondo della cultura), a partecipare alle concertazioni per la riforma a partire da gennaio 2020 fino al mese d’autunno: il frutto di questi lavori, ha assicurato il governo, sarà integrato nei testi legislativi.

 

“Non vogliamo essere la generazione che ha sacrificato quelli che verranno”, hanno riposto i ballerini dell’Opéra, “ci viene proposto di sfuggire personalmente alle misure, ma noi siamo soltanto l’anello di una catena vecchia di 350 anni che deve continuare”. Per ora, insomma, l’Eliseo è di fronte a un muro, che all’Opéra è già costato circa 12 milioni di euro di perdite e l’annullamento di quasi sessanta spettacoli. Il Monde, a metà dicembre, si era già fatto la domanda che nessuno osa farsi: “I ballerini dell’Opéra sono dei privilegiati?”. “Sì – risponde il quotidiano – alla luce di un milieu sempre più precario. Ci sono 4mila ballerini professionisti in tutta la Francia che vivono più o meno male il loro mestiere (…). Ma sono meno pagati e protetti dei loro colleghi dell’Opéra de Paris, e non vanno in pensione a 42 anni”. Il deficit causato dal regime speciale dell’Opéra, di cui beneficiano anche i tecnici, i coristi e i musicisti, è di 14 milioni di euro. Sarebbe ora di finirla, scrive il Monde, di considerarsi un’istituzione “à part”.

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