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In Canada vince Trudeau, ma gli serve un alleato. Tre ipotesi e il sollievo (liberale)

Paola Peduzzi

Il premier è riconfermato, ma non ha più la maggioranza in Parlamento. La questione ambientale è cruciale per le alleanze. La mappa elettorale

Milano. Justin Trudeau ha vinto il secondo mandato alle elezioni canadesi di lunedì: il premier ha respinto l’offensiva dei conservatori. La notizia, nella notte elettorale, è stata accolta più con sollievo che con entusiasmo, raccontano le cronache: la paura è passata, la magia del 2015 non è stata recuperata, la maggioranza in Parlamento per il Partito liberale non c’è più, il premier dovrà trovare un alleato per governare. Il sollievo si è sentito anche in alcune cancellerie occidentali (non in quella di Washington, pure se Donald Trump si è congratulato con Trudeau): a settembre ha preso forma la cosiddetta alleanza multilaterale a guida tedesca, ai margini della Assemblea generale dell’Onu. Tedeschi e francesi hanno formalizzato un accordo tra paesi liberali per la gestione delle relazioni internazionali contro la politica “interesse nazionale first”, e il Canada ne faceva – e ne farà – parte. Anche se la leadership di Trudeau esce un po’ ammaccata dal voto, il posizionamento geopolitico non cambia, e questa per i paesi liberali è un’ottima notizia. Il resto è e sarà arte del deal in versione canadese: il premier può governare in minoranza (storicamente è una scelta che ha una vita media di due anni) o con un alleato.

  

Poiché i Trudeau in Canada sono una dinastia, i commentatori hanno subito ricordato come andò con il padre dell’attuale premier, Pierre: primo mandato con maggioranza in Parlamento, due anni di minoranza, due successive vittorie consecutive e Partito liberale nei libri di storia. Come precedente non è male, ma oggi i malumori e le divisioni non sembrano paragonabili a quelle della stagione paterna, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. L’alleato considerato naturale per Trudeau è il partito dei New democrats, guidati dal loro nuovo leader (c’è da un anno e mezzo) Jagmeet Singh, canadese di origini indiane, che nella notte elettorale si è messo a ballare come se avesse vinto, anche se in realtà ha perso quasi la metà dei seggi ottenuti nel 2015. Ma le attese erano tragiche, e poiché queste sono state le elezioni delle aspettative basse, il sollievo dei sopravvissuti s’è sentito anche dalle parti dei New democrats. Singh è disposto a governare con Trudeau, ha detto, e i suoi seggi sarebbero sufficienti per arrivare alla maggioranza con i liberali, ma se sulla carta questa alleanza pare naturale, in realtà le differenze tra i due partiti sono grandi: se Trudeau si colloca tra i leader riformatori, i New democrats sono più a sinistra, e si danno come priorità la lotta alla diseguaglianza (molte spese) e soprattutto l’ambientalismo. La questione verde, tanto alta nelle priorità politiche dell’elettorato occidentale, ha polarizzato non soltanto il consenso di Trudeau – che è considerato allo stesso tempo un ambientalista passivo/politicamente corretto e un traditore della causa ecologista – ma anche il voto in Québec, che è stato decisivo nel privare il premier della maggioranza che aveva (è la seconda regione più importante in termini di seggi, dopo l’Ontario).

 

Il leader del Bloc québécois, Yves-François Blanchet, ha rivitalizzato il suo partito che ha triplicato i seggi abbandonando la retorica secessionista – “vogliamo tutti recuperare la nostra sovranità”, ha ripetuto nella notte elettorale, “ma non lo faremo in questa legislatura” – per sostituirla con la difesa degli interessi del Québec e dei francofoni (l’indipendentismo è in basso nei sondaggi, molto più in basso di quanto fosse nel 1995, quando il referendum sulla secessione fallì). Tra questi interessi c’è anche la contrarietà alla costruzione di una pipeline che colleghi le grandi strutture già esistenti in Canada alla costa atlantica: di fatto il Bloc québécois guida il movimento no Tav del Canada, in grande contrasto con l’ovest del paese, in particolare l’Alberta, in cui domina il settore energetico e l’ambientalismo è considerato un nemico da sconfiggere (non è un caso che proprio in Alberta il Partito liberale di Trudeau non abbia preso nemmeno un voto, spazzato via, pure se lo stesso Trudeau ha recuperato e dato vita a un progetto di trasporto petrolifero enorme: ancora una volta si è mostrata la contraddizione tra l’immagine di Trudeau e la sua politica). Quindi: sia il Bloc québécois sia i New democrats sono alleati possibili ma ostili sulla questione ecologica e in particolare sulla costruzione delle pipeline.

 

Al momento sembra molto più probabile che l’alleanza – se Trudeau sceglierà di farla – sarà con i New democrats, anche se i punti di rottura potrebbero essere parecchi. Ma il clima è ancora quello del pericolo scampato: un governo di minoranza sembra la premessa per un dialogo indispensabile in un paese diviso tra est e ovest, tra campagne e città e sulla credibilità del proprio leader. Governerò per tutti, ha ripetuto Trudeau, sopravvissuto indispensabile anche per gli altri paesi liberali che confidano, soprattutto per combattere il protezionismo americano, sull’alleato canadese.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi