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Sornione e attendista, lo scout David Sassoli è uno che non sbaglia mai

Giuseppe De Filippi

Dicono che non sia un gran decisore. E che non ami farsi nemici, ma non è detto che sia un difetto. Chi è il nuovo presidente del Parlamento europeo

David Sassoli è uno che non sbaglia. Trovata una strada da percorrere non la molla e da quel percorso trae il massimo risultato. Non l’ha neanche dovuta cercare faticosamente, perché era già segnalata grazie alle esperienze familiari.

 

Sassoli nasce a Firenze nel 1956; suo padre, di Calenzano, è amico di Giorgio La Pira e partecipa alla vita politica, oltre a frequentare la parrocchia di don Milani. La cultura democratica e cristiana offre opportunità, dà una chiave del mondo, ma chiede anche comportamenti e scelte. Si arricchisce di quella cultura, per chi l’interpreta diventa tecnicamente più divertente, nella variante un po’ battagliera che derivava, ai democristiani toscani, dall’essere predicatori in partibus infidelium, circondati da comunisti, coi quali imparare a discutere e a ragionare. E tutto resta molto coerente, per Sassoli, con il trasferimento a Roma da ragazzino, la frequentazione degli scout, il giornalismo come passione e lavoro che ha senso solo se c’è visione politica, e volete mettere con la noia e l’ipocrisia dei giornalisti terzi, non schierati. Certo, nella carriera dal Giorno ai programmi di informazione Rai a Michele Santoro al Tg1, di cui diventa conduttore e poi vicedirettore, si vede la traccia della passione politica ma, inevitabilmente, affiora anche l’ossequio retorico a quel concetto vuotissimo di professionalità che è il feticcio e insieme la via di fuga dialettica del giornalista Rai tipo. Ma ne viene fuori bene, appunto, liberandosi di certi vincoli proprio grazie allo schieramento politico. Anche perché il Partito democratico se lo trova, nascente, al momento giusto della vita.

 

Le esperienze di rinnovamento della Dc, guardando a sinistra, le aveva già vissute, negli anni 80. Era pronto e maturo quando Walter Veltroni dà il via al tentativo di convergenza tra culture politiche che fa nascere il Pd. Faccia conosciuta, certo, il che aiuta. E bello, ma perfettamente inossidabile alle lusinghe cui la bellezza rischia di condannare. Fa il gigione a rovescio, come tutti i belli che sanno di esserlo e in una rarissima intervista un po’ frou frou può permettersi di autodefinirsi noioso. E fallo pure divertente, dicono le sue tantissime ammiratrici. Si vedono, se permettete una digressione, gli effetti della diseguale distribuzione della bellezza innata rispetto a un altro noto scout fiorentino che ha scalato il Pd: battutista quest’ultimo e veloce nel trovare il guizzo linguistico, attendista e sornione invece Sassoli. Ultimamente twitta, critica con verve i gialloverdi e i loro fiancheggiatori, è anche polemico.

 

Ha aperto la sua presidenza del Parlamento europeo con le citazioni giuste (e di questi tempi è già molto). E con una perfetta tirata contro il sovranismo, ma chiamandolo col nome classico. “Non siamo – ha detto – un incidente della storia, ma i figli e i nipoti di coloro che sono riusciti a trovare l’antidoto a quella degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia. Se siamo europei è anche perché siamo innamorati dei nostri paesi. Ma il nazionalismo che diventa ideologia e idolatria produce virus che stimolano istinti di superiorità e producono conflitti distruttivi”. In altri frangenti avremmo accolto queste parole con meno pathos, ora le sentiamo forti e incoraggianti.

 

Dicono che non sia un gran decisore. E che non ami farsi nemici, ma non è detto che sia un difetto. Ha una moglie conosciuta al liceo e due figli, un maschio e una femmina. Detto così, ma aggiungendo affetto e ammirazione, sembra il sogno di chi non vorrebbe struggersi tra decisioni confliggenti. Ha avuto un solo momento di franata politica, fra tre elezioni consecutive al Parlamento europeo, la vicepresidenza e ora la presidenza. Ma è stata una benedizione. Perché il suo nome era il più gradito nei sondaggi alle primarie del Pd per candidarsi a sindaco di Roma. Il partito non intese favorire questo orientamento e tirò fuori Ignazio Marino. Visto come è andata, e anche scontando un po’ di inadeguatezza del sindaco-medico, Sassoli deve ringraziare il cielo. Tutto lo porta a essere il ritratto di un ossimoro, che potremmo definire dell’indecisione realizzata. Ma in questa Europa e in questi giorni è un altro caso perfetto del meraviglioso incastro che le notti delle trattative brussellesi hanno permesso di raggiungere tra nomine realizzabili e valori da difendere.

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