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Macron vuole tassare i giganti del web, ma ha problemi con l'innovazione locale

Mauro Zanon

Per il ministro dell'Economia Le Maire, la misura è necessaria per finanziare i servizi pubblici, le scuole, gli asili e gli ospedali

Parigi. Per il Monde, è un “piccolo passo”, ma dal valore “altamente simbolico”. Il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire ha presentato ieri in consiglio dei ministri il suo progetto di legge per tassare i colossi del web, i cosiddetti Gafa, Google, Apple, Facebook e Amazon. “E’ imperativo tassare i Gafa per avere un sistema fiscale efficace e finanziare i nostri servizi pubblici, le nostre scuole, i nostri asili e i nostri ospedali”, ha detto Le Maire in un’intervista al Parisien, aggiungendo, in riferimento alle rivendicazioni dei gilet gialli, che si tratta di “una questione di giustizia fiscale”. Attualmente, secondo la Commissione europea, i Gafa sono assoggettati a una tassazione media del 9 per cento, 14 punti in meno rispetto alle piccole e medie imprese del continente: una situazione “inaccettabile”, secondo il capo di Bercy. L’iniziativa francese – dalle parti del governo preferiscono definirla “offensiva” – fa seguito al fallimento delle trattative intavolate da Le Maire con i suoi omologhi europei negli ultimi diciotto mesi. Da quando è diventato ministro dell’Economia, ha provato in tutti i modi a convincere gli altri stati membri a instaurare una “tassa Gafa” su scala europea, poiché in materia fiscale è necessaria l’unanimità. Ma nonostante gli sforzi e l’appoggio della Commissaria europea per la Concorrenza Margrethe Vestager, portabandiera della crociata anti Gafa, non è riuscito a far cambiare idea al blocco dei paesi del nord, Svezia, Danimarca e Finlandia, e neppure all’Irlanda, dove hanno sede i giganti del web nell’Ue. “Non ci sarà nessun accordo sul progetto di direttiva europea”, ha dichiarato sconsolato la scorsa settimana, dopo l’ultimo pourparler andato male con l’omologa svedese Magdalena Andersson (a Stoccolma, come raccontato ieri dal Figaro, temono soprattutto le ritorsioni statunitensi, e vedono la web tax come una minaccia per i loro gioielli nazionali, a partire da Spotify). La Francia, come hanno già fatto Spagna, Austria e Italia, ha deciso così di muoversi autonomamente.

 

Il testo della web tax in salsa francese sarà oggetto di dibattito all’Assemblea nazionale a partire da aprile. Nel dettaglio, prevede un’imposta del 3 per cento per le aziende che superano i 750 milioni di euro di ricavi annui totali e i 25 milioni di ricavi in Francia. Il perimetro della tassa firmata Le Maire coprirà tre attività: la pubblicità online, la vendita dei dati personali a soggetti terzi e l’intermediazione, ossia le piattaforme che vendono prodotti di terze parti fungendo da intermediarie di vendita di prodotti e servizi (l’imposta non riguarderà invece i siti che vendono prodotti e servizi direttamente dalla loro pagina).

 

Secondo quanto riferito da Bercy all’Afp, la “taxe Gafa”, applicata a partire dal 1° gennaio 2019 in maniera retroattiva, toccherà una trentina di multinazionali: oltre ai Gafa, saranno coinvolte società come Booking, Uber e Airbnb, e anche alcune imprese francesi, come Blablacar, Le Bon Coin e Orange. La web tax, tuttavia, non garantirà un incasso mirabolante all’erario francese. “Per il 2019, gli introiti saranno di 400 milioni di euro”, ha precisato durante la conferenza stampa di presentazione il ministro dell’Economia di Parigi, che in precedenza aveva invece parlato di 500 milioni. Le Maire ha poi aggiunto che le entrate fiscali prodotte dalla nuova imposta dovrebbero raggiungere i 650 milioni nel 2021. L’estrema sinistra non è contenta: “Bruno Le Maire attacca dei mastodonti con una pistola ad acqua”, ha attaccato Ian Brossat, capolista alle elezioni europee per il Partito comunista francese. Ma anche gli ambienti dell’innovazione esagonale hanno esternato il loro malcontento: “Emmanuel Macron ha l’abitudine di dire che la Francia deve diventare una startup nation ma l’Esagono somiglia sempre di più a una tax nation”, ha detto Giuseppe de Martino, presidente dell’Associazione dei servizi Internet comunitari. Le Marie, invece, si augura che questa tassa possa essere l’antipasto di un progetto di legge più ambizioso da adottare a livello mondiale attraverso l’Ocse all’orizzonte 2020.

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