Decine di morti sulla spiaggia libica di Zawiya dopo un naufragio (foto LaPresse)

I "porti chiusi" dell'Italia non scoraggiano i migranti, dice uno studio Onu

Luca Gambardella

Gli sbarchi verso l'Europa sono ai minimi dal 2012, dice Frontex. Ma una ricerca sul campo finanziata dalle Nazioni Unite rivela che il paese è diventato un tappo pronto a esplodere

Il rubinetto dei migranti in partenza dalla Libia e diretti in Italia si va chiudendo sempre di più col passare dei mesi ma le prospettive dei flussi migratori per il futuro restano allarmanti. Incrociando i dati pubblicati oggi dall’Agenzia europea dell’Ue per la gestione e il controllo delle frontiere esterne (Frontex) con quelli di un altro studio indipendente finanziato dalle Nazioni Unite il quadro generale sembra dire che gli scarsi arrivi dei migranti di oggi possano prefigurare uno scenario più critico per i prossimi mesi.

  

 

Nel report sull’analisi dei rischi per il 2019, Frontex certifica che il numero dei migranti partiti dalla Libia e diretti in Italia è ai minimi dal 2012. Nel frattempo va crescendo il flusso di chi prova a percorrere la rotta occidentale del Mediterraneo, quella tra il Marocco e la Spagna. L’anno scorso gli arrivi sulle nostre coste sono stati appena 23.485. Un calo dell’80 per cento circa rispetto al 2017, quando erano stati ben 118.962. La rotta del Mediterraneo centrale è oggi la meno battuta da chi cerca di fuggire dall’Africa del nord. Sono state 57.034 le persone partite dal Marocco verso la penisola Iberica, 56.561 quelle che invece hanno sfruttato la rotta orientale, quella che va dalla Turchia alla Grecia. Il principale motivo dello spostamento a ovest dei flussi, ha spiegato oggi il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, è che "la rotta libica è diventata sempre meno attraente, a causa dei pericoli" che i migranti corrono sia in Libia sia sulla strada per raggiungere il paese. Di conseguenza, continua Leggeri, "la rotta del Mediterraneo occidentale è diventata più attraente, perché è più sicura", anche se "attraversare lo stretto di Gibilterra è pericoloso, non è certo facile". Alla domanda se il ministro dell'Interno Matteo Salvini abbia ragione a rivendicare di aver fermato gli sbarchi di migranti irregolari in Italia, Leggeri ha risposto che "sulla rotta del Mediterraneo centrale abbiamo visto una prima caduta dei flussi nell'estate del 2017. Nel 2018 il trend si è poi confermato e rafforzato. Abbiamo una buona collaborazione con le autorità italiane".

 

 

La versione di Leggeri, che parla di migranti sempre più disincentivati a provare a raggiungere la Libia e quindi l’Europa, è smentita però da un altro studio pubblicato sempre oggi dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) e dal think tank di Ginevra, Impact. Leggendolo, il quadro generale si fa più complesso. Il rapporto analizza se e come si sono evoluti i flussi migratori dall’Africa subsahariana verso l’Europa da aprile 2018 a oggi, nel pieno del periodo all’insegna della “tolleranza zero” per gli arrivi inaugurato lo scorso anno dall’Ue. Lo studio è stato condotto con informatori sul campo e interviste fatte ai migranti che ora si trovano in Libia. I ricercatori hanno così analizzato i comportamenti, oltre che i numeri, di chi in questi mesi ha raggiunto il paese nordafricano. I risultati dicono come, nonostante le difficoltà per raggiungere la costa libica siano aumentate negli ultimi anni, i flussi di chi arriva in Libia si mantengano stabili. I controlli alle frontiere nei paesi di transito, come il Chad e il Niger, sono sempre più frequenti e rigorosi, dicono i migranti, ma questo non li ha comunque fatti desistere dalla volontà di lasciare i propri villaggi. Oggi sono presenti in Libia circa 670 mila persone tra rifugiati e migranti, un dato in aumento se paragonato a quello dell’estate 2017 in cui erano circa 400 mila. Le testimonianze raccolte sul campo dicono anche che “la situazione della sicurezza in Libia e le misure anti immigrazione adottate finora non hanno avuto un impatto sulla decisione dei rifugiati e dei migranti sul restare o abbandonare il paese”. Sebbene il sostegno dell’Ue alla Libia per ostacolare le partenze sia aumentato, anche se gli scontri tra le milizie delle varie tribù libiche continuano, tutto questo sembra non incidere sulla ferma intenzione dei migranti di lasciare la Libia. La prospettiva di tornare nei rispettivi paesi di origine, insomma, è presa in considerazione solo da una minoranza degli intervistati. I motivi, secondo lo studio, sono due. Innanzitutto c’è la capacità dei migranti di sapersi adattare anche in una situazione molto difficile, fatta di scontri armati e dall’alto rischio di essere arrestati e rinchiusi in centri di detenzione. E poi c’è la capacità dei trafficanti di esseri umani di continuare la propria attività illecita. I migranti inoltre non prendono troppo in considerazione l’ipotesi di spostarsi in altri paesi limitrofi. Egitto, Algeria, Tunisia, Chad o Niger non sono ritenute alternative allettanti perché, dicono, le frontiere sono sempre più invalicabili e comunque le prospettive di trovare lavoro in questi paesi restano basse. “Tutte le donne che conosco qui scappano dalla povertà, dalla fame, dai conflitti etnici nei loro paesi – ha detto una nigeriana durante una di queste interviste – Scappano con i propri figli dalla morte. Non penso che queste condizioni siano cambiate nei loro paesi di origine e quindi le ragioni per cui i migranti continuano ad arrivare in Libia non cambieranno”.

 

Intanto, ci sono notizie di decine di cadaveri ritrovati sulle coste libiche. Secondo Medici senza frontiere, a gennaio erano stati rinvenuti oltre 20 corpi nel golfo di Sirte. Il 15 febbraio, la Mezzaluna rossa ne ha raccolti altri tre nella stessa zona, sulla costa di al Thalathin. Secondo lo studio Unhcr-Impact, il rischio di morire nel Mediterraneo per chi parte dalla Libia è raddoppiato, passando dal 2 per cento del 2017 al 4 per cento nel 2018. Ma oggi, sapere a quale naufragio siano collegati questi corpi è ormai impossibile, dato che la Guardia costiera libica non fornisce dati o informazioni sulle sue operazioni o su quanto avvenga al largo delle proprie coste. “La domanda è dove andranno tutti questi migranti e rifugiati che vogliono lasciare il paese”, è la conclusione del report di Unhcr-Impact. Il risultato è che la Libia si sta trasformando sempre più in un enorme tappo pronto a esplodere. Un luogo senza legge in cui è ancora possibile entrare, ma da cui nessuno sembra avere intenzione di uscire.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.