Alcuni migranti cercano di oltrepassare le barriere a Melilla, l'enclave spagnola in Nord Africa (Foto LaPresse)

Il libro einaudian-macroniano sull'immigrazione di cui non si deve parlare

Giulio Meotti

Il testo di Stephen Smith è stato lodato dal presidente francese ma ignorato da tutti i media

Roma. Una volta Gustav Herling, l’autore di “Un mondo a parte”, memorabile resoconto del Gulag staliniano, disse: “La dittatura culturale, dittatura tout court, c’è stata in Polonia. In Italia, come dire, ha prevalso piuttosto una tranquillizzante abitudine alla reticenza. Tempo Presente (la rivista di Silone e Chiaromonte, ndr) poteva uscire senza che nessuna censura poliziesca glielo impedisse. Bastava farle il vuoto attorno, non parlarne mai. Non che però quel clima omertoso non nascondesse egualmente tratti odiosi”.

 

Un meccanismo che sembra ripetersi con “La Ruée vers l’Europe”, il libro di Stephen Smith pubblicato in Francia da Grasset in cui si esamina l’incontro fra un vecchissimo continente europeo e un giovanissimo continente africano e si spiega cosa fare per gestire l’immigrazione (Smith condanna sia l’“Eurafrica” sia i muri, a favore di un protettorato). “Siamo di fronte a un fenomeno migratorio senza precedenti”, aveva detto Emmanuel Macron. Un fenomeno che secondo il presidente francese è “descritto tremendamente bene” proprio da Smith. Sottotitolo: “La giovane Africa sulla strada per il Vecchio continente”. Un endorsement non da poco per un libro considerato sull’immigrazione il titolo dell’anno, paragonabile a “Exodus” di Paul Collier. Il settimanale Spiegel di questa settimana dedica a Smith ampio spazio.

 

Si parla di Lagos, in Africa, che negli anni Cinquanta era abitata da 300 mila persone, mentre oggi sono 20 milioni e nel 2050 saliranno a 40 milioni. Nel 1950 il paese sahariano del Niger, con 2,6 milioni di persone, era più piccolo di Brooklyn. Nel 2050, con 68,5 milioni di persone, avrà le dimensioni della Francia. A quel punto, la Nigeria, con 411 milioni di persone, sarà considerevolmente più grande degli Stati Uniti. “L’Africa è nel bel mezzo di un’esplosione demografica che porterà necessariamente a un’enorme ondata migratoria verso l’Europa”, dice Smith, annunciando l’edizione americana del libro, “The Scramble for Europe”. “Smith prevede che, a seguito della massiccia ondata migratoria, tra 150 e 200 milioni di persone di origine africana vivranno in Europa entro il 2050, uno scenario che farà il gioco dei populisti di destra”. Il libro è uscito anche in Italia per Einaudi l’11 settembre scorso con il titolo di “Fuga in Europa”.

 

Ma non sembra essersene accorto nessuno. Non ne ha scritto infatti praticamente nessun giornale. Sul volume è calato un silenzio a dir poco imbarazzante. Il libro deve giacere ignorato nelle redazioni dei giornali, forse persino maneggiato con timore dalla stessa blasonatissima casa editrice torinese che aveva avuto il coraggio di farlo uscire. Nessun evento in Italia è stato organizzato con l’autore, nessuna conferenza, nessuna presentazione, nessuna recensione è apparsa sui big del giornalismo, nessuno spazio nelle televisioni, sempre piene di chiacchiere sul fenomeno migratorio. Eppure, Smith aveva tutti i crismi democratici giusti. Apprezzatissimo da Macron tanto da suggerirne la lettura, ex corrispondente del giornale della gauche Libération, ex funzionario delle Nazioni Unite, cattedratico in America.

 

Ma forse, come ha detto al Figaro il sociologo Philippe d’Iribarne, “questi temi nel grande dibattito nazionale sono oggetto di una forte riluttanza. I membri dell’istituzione accademica accusati di essersi uniti al campo delle ‘tristi passioni’ scandalizzano”. E chi devia dal mainstream o tenta anche solo di far pensare “suscita vergogna e indignazione. Secondo loro, questi colleghi lasciano la cerchia delle persone rispettabili con le quali si può discutere”. E proprio in Francia, Smith è stato oggetto di attacchi, da cui si è dovuto difendere con un articolo su Libération: “Quel maniscalco dell’estrema destra che non sono”. Come diceva Herling, in Italia invece per fare terra bruciata spesso basta non parlarne.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.