Agenti della polizia francese a Parigi (foto LaPresse)

Attentati e sicari

Le operazioni dell'Iran nel cuore dell'Europa che voleva l'accordo

Daniele Raineri

Arrivano i dettagli sulla bomba che doveva esplodere a Parigi tra i dissidenti che piacciono a Trump

New York. Ieri il Wall Street Journal ha rivelato alcuni dettagli di un’operazione dell’intelligence iraniana fallita il 30 giugno che aveva come bersaglio una conferenza a Parigi. Un iraniano che da dieci anni gode di asilo politico in Belgio e sua moglie pochi giorni prima di quella data incontrarono sulla terrazza di un café in Lussemburgo un agente dell’intelligence iraniana che loro conoscevano soltanto con il nome in codice “Daniel”. Da anni Daniel chiedeva alla coppia di partecipare alle attività del Mek, un gruppo di opposizione iraniano che chiede ai suoi seguaci una fedeltà simile a quella di un culto religioso e che fino al 2012 era sulla lista dei gruppi terroristi per i metodi usati, inclusi gli attentati esplosivi, ma che da qualche anno è visto con simpatia da molti interlocutori occidentali. Per la coppia di iraniani era diventata una routine: andare agli incontri del Mek in Europa, raccogliere informazioni e poi andare a riferire tutto a Daniel, che in cambio li pagava in denaro contante. I due avevano capito di non essere gli unici infiltrati perché a volte il reclutatore mostrava loro foto di persone presenti agli incontri che loro non avevano menzionato e aggiungeva informazioni che non avevano riferito. Fin qui un classico delle operazioni di intelligence: Daniel, che si chiama Assadollah Assadi e ha un lavoro di copertura come diplomatico all’ambasciata iraniana a Vienna, controlla una rete di informatori che sorvegliano gli oppositori in Europa. Ma a fine giugno consegna ai due un beauty-case con mezzo chilogrammo di Tatp e dice loro che si tratta di un fuoco d’artificio e creerà molto panico alla conferenza del Mek del 30 giugno a Parigi, dove arriverà a parlare sul palco anche Rudy Giuliani, consigliere del presidente americano Donald Trump. Il Tatp è un esplosivo facile da confezionare in casa e molto potente che è stato usato dallo Stato islamico negli attentati in Europa degli anni scorsi: a Parigi, a Bruxelles e a Manchester. Mezzo chilogrammo non è una quantità sufficiente a fare un massacro dentro la sala di una conferenza, ma a uccidere chi è vicino sì. Non è chiaro dove i due avrebbero dovuto disporre la bomba. Se anche l’avessero abbandonata a caso tra la folla, il messaggio intimidatorio sarebbe stato molto chiaro. Per di più alla presenza di Rudy Giuliani, rappresentante dell’Amministrazione americana che quest’anno ha annullato l’accordo sul nucleare del luglio 2015 e che nei prossimi giorni annuncerà un nuovo giro di sanzioni contro Teheran. E pensare che il governo francese è quello che si era impegnato di più per proporre agli iraniani di andare avanti nei rapporti commerciali anche dopo la rottura dell’accordo con Washington e il rischio di sanzioni. 

 

Anche l’Iran, come l’Arabia Saudita che a ottobre ha ucciso un editorialista in Turchia e come la Russia che ha mandato due sicari per uccidere un disertore vicino a Londra, è più aggressivo rispetto al passato e lancia operazioni in Europa. Alla fine di settembre la Danimarca ha chiuso i ponti e bloccato tutti i treni per intercettare e catturare una spia che era stata incaricata dall’intelligence iraniana di scattare fotografie della casa danese dove vive da rifugiato un leader del movimento per la liberazione dell’Ahvaz (il governo di Teheran accusa quel gruppo di avere organizzato un attentato contro una parata militare a settembre). I servizi di sicurezza della Danimarca sono stati avvisati dall’intelligence di Israele, che probabilmente è quella che al mondo raccoglie più informazioni sulle attività degli iraniani, e che è la fonte anche di informazioni che hanno permesso di sventare l’attacco alla conferenza di Parigi. I belgi hanno bloccato i due iraniani mentre prendevano il treno per la capitale francese e i tedeschi hanno arrestato il diplomatico iraniano a pochi chilometri dal confine con l’Austria, oltre il quale avrebbe potuto far valere la sua immunità diplomatica.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)