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Stato etico in Cina

Eugenio Cau

Il Partito comunista dichiara guerra ai videogiochi e fa crollare l’industria. Sintomi di regressione totalitaria

Roma. A partire dall’inizio del 2018, Tencent, grande azienda di internet cinese, ha perso più di 160 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato – 20 miliardi soltanto negli ultimi giorni. Soffermiamoci a quantificare la dimensione della perdita. Netflix, nel suo complesso, ha una capitalizzazione di mercato quasi identica: 162 miliardi di dollari. Coca-Cola, una delle multinazionali più conosciute al mondo, ha una capitalizzazione di 191 miliardi, non molto di più. Tencent, che attualmente ha un valore di 414 miliardi di dollari, ha perso in otto mesi una Netflix tutta intera. Non solo: il mese scorso, per la prima volta in 13 anni, l’azienda ha registrato profitti in calo. Quale crisi ha colpito questa grande azienda, che possiede la app più famosa di tutta la Cina (WeChat), fa affari della finanza online, nell’entertainment, nei videogiochi e nei servizi di trasporto privato? La crisi si chiama Partito comunista cinese (Pcc), l’entità autoritaria che governa il paese.

  

Il Partito comunista, sempre più accentrato sotto il dominio di Xi Jinping, ha deciso che i videogiochi, specie quelli di Tencent, stanno rammollendo la gioventù cinese. Il primo attacco è arrivato un anno fa, quando il Quotidiano del popolo ha definito “Honor of Kings”, un videogioco molto famoso prodotto proprio da Tencent, come “un veleno” per i giovani. Il Pcc è passato ai fatti negli ultimi mesi, quando ha bloccato le vendite di un altro videogioco (si chiama “Monster Hunter: World”). Inizialmente si era ritenuto che la ragione del blocco fosse dovuta al fatto che era in corso un ciclo di riunioni politiche annuali molto delicato, che aveva bloccato i processi burocratici. Tutto il contrario: finite le riunioni, l’attacco a Tencent, “campione nazionale” dell’industria digitale un tempo coccolato e prediletto, si è moltiplicato.

  

Negli ultimi giorni, i media di stato hanno indetto una grande campagna nazionale contro la miopia tra i giovani, provocata, si dice, dall’eccessivo utilizzo dei videogiochi. L’iniziativa, dicono i media, nasce dalla premura del presidente Xi, che “ha sempre avuto molto a cuore la salute visiva delle giovani generazioni”. Questa campagna, scrive il Wall Street Journal, sarà portata avanti dal ministero dell’Educazione, provocherà enormi restrizioni all’industria dei videogiochi e il suo semplice annuncio ha fatto crollare il valore di Tencent – sono crollate anche altre aziende, compresa la giapponese Nintendo, ma Tencent è stata la più colpita in assoluto.

  

Ora, è vero che molti giovani cinesi soffrono di dipendenza da internet e dai videogiochi, e si potrebbe pensare che, con i modi bruschi del governo autoritario, il Pcc stia effettivamente cercando di risolvere un problema di salute pubblica: in occidente si organizzano campagne di sensibilizzazione, in Cina si vietano i videogiochi. Il problema è che, con i modi bruschi del governo autoritario, e adducendo ragioni vaghe di salute pubblica, il Partito comunista ha ricominciato a interferire su decine di ambiti della vita personale delle persone da cui si era ritirato quarant’anni fa, dopo la morte di Mao Zedong. Il Pcc non si limita più a censurare i media giornalistici, come ha sempre fatto, ma di recente ha fatto chiudere alcuni servizi di streaming video che niente avevano a che fare con il dissenso politico e perfino una app di barzellette (!), adducendo ragioni di decoro pubblico. Con cadenza frequente, Xi Jinping e i notabili del Pcc convocano artisti, registi e intellettuali e li esortano a fare della loro opera un manifesto di specchiata fede comunista. Questa stessa esortazione si è estesa alla comunità accademica, dove troppo spesso la fedeltà politica sembra sopravanzare il rigore scientifico. Le scuole, hanno scritto i media occidentali di recente, hanno cominciato a organizzare dei corsi per insegnare alle ragazze a essere “perfette” (ubbidienti casalinghe), mentre contestualmente i movimenti femministi sono repressi. Le religioni sono perseguitate: i musulmani uiguri, considerati più riottosi, sono internati in campi di rieducazione (vedi articolo speculare a questo); i cristiani vedono le loro chiese abbattute.

  

Il professore Carl Minzner, in un libro uscito quest’anno (“End of an Era: How China’s Authoritarian Revival is Undermining Its Rise”), ha definito il governo di Xi Jinping come l’èra della “controriforma”, in cui il patto sociale che ha governato la Cina negli ultimi quarant’anni viene riscritto. Se prima il Partito comunista diceva ai suoi cittadini: rinunciate alle libertà politiche e vi garantiremo la totale libertà di vivere e di arricchirvi come volete, negli ultimi anni sono tornati a manifestarsi i sintomi preoccupanti di uno stato etico. Il Pcc vuole tornare a decidere come i suoi cittadini vivono, e plasmarli a sua immagine, perfino quando si parla di videogiochi. Ma il caso Tencent dimostra che l’oppressione etica fa danni gravi all’economia. Ecco tornare il dilemma del tiranno.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.