James Mattis con Donald Trump (foto LaPresse)

Il pericoloso stallo dei negoziati tra Trump e Kim Jong-un

Giulia Pompili

Il presidente americano aveva promesso alla Corea del nord il trattato di pace, ma ora potrebbero ricominciare i giochi di guerra

Roma. L’America non ha nessun piano di sospendere altre esercitazioni militari congiunte con la Corea del sud, ha detto l’altro ieri alla stampa il segretario alla Difesa americana Jim Mattis. “Abbiamo sospeso alcune (tre, ndr) delle più imponenti esercitazioni militari in virtù della buona fede che era emersa dal summit di Singapore” tra il presidente americano Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un, ha detto Mattis. “Ma non abbiamo intenzione di sospendere altre future esercitazioni”, insomma non è detto che le Foal Eagle, nella primavera del 2019, non si tengano di nuovo. I giochi di guerra che sin dalla fine del conflitto nella penisola coreana, nel 1953, gli Stati Uniti conducono con la Corea del sud e gli altri alleati dell’area sono motivo di preoccupazione per la Corea del nord. Da sempre i leader di Pyongyang considerano le esercitazioni militari – che si svolgono praticamente sul confine – un “atto di guerra”, provocazioni intollerabili. Negli ultimi anni, inoltre, lo show di capacità belliche è stato rafforzato dalle élite delle Forze armate americane e sudcoreane che si esercitano anche nell’infiltrazione in Corea del nord per l’eliminazione fisica del leader supremo.

 

Fare o non fare le esercitazioni militari, dunque, mostra il reale avanzamento delle negoziazioni tra Washington e Pyongyang. Mattis ha parlato qualche giorno dopo il tweet di Donald Trump, il cinguettìo nel quale annunciava che il suo segretario di stato, Mike Pompeo, non sarebbe più partito per la capitale nordcoreana. La seconda visita di Pompeo era stata annunciata da poco, e l’obiettivo della missione era, ancora una volta, provare a strappare alla Corea del nord un reale impegno sulla denuclearizzazione. Trump ha annullato la visita durante una riunione nello Studio Ovale dove erano presenti, oltre a Pompeo, anche il vicepresidente Mike Pence e Andrew Kim, capo del Korea Bureau della Cia. “Ho chiesto a Pompeo di non andare in Corea del nord, per adesso, perché ritengo che non stiamo facendo progressi sufficienti sulla denuclearizzazione della penisola”, ha scritto Trump. “Nel frattempo però vorrei esprimere i miei più calorosi saluti al presidente Kim. Spero di vederlo presto!”. Secondo il Washington Post, che cita una fonte anonima, ci sarebbe la zampata di John Bolton, il falco anticoreano: “Se non muovono la palla in avanti”, avrebbe detto Bolton a Trump, “Non devi per forza ammettere che abbiamo sbagliato. Ma dobbiamo iniziare ad aumentare la pressione in modo da costringerli a tener fede alle loro promesse”.

 

Il problema però, ancora una volta, è di comunicazione, e di cosa intende la Casa Bianca in questo momento per denuclearizzazione. Poco prima della partenza prevista, Pompeo avrebbe ricevuto una lettera firmata dal suo omologo nordcoreano, Kim Yong-chol, nel quale uno dei bracci destri del leader esprime tutta la sua insoddisfazione per i negoziati in corso. Pyongyang ha eseguito quanto promesso a Trump durante il summit di Singapore, riconsegnando i resti dei reduci di guerra e sospendendo test missilistici e nucleari. Ma il vero obiettivo della Corea del nord resta, oltre alla denuclearizzazione dell’intera penisola (non solo della Corea del nord), la trasformazione dell’armistizio del 1953 in un trattato di pace – secondo uno scoop di Vox di ieri Trump lo aveva promesso a Kim a Singapore: mai fidarsi. Lo stallo sui negoziati è arrivato quindi a un punto cruciale.

 

Se da una parte Kim Jong-un si comporta in maniera piuttosto razionale e coerente, d’altra parte – scriveva ieri Alex Ward sempre su Vox – bisogna vedere come reagirà adesso Trump: un’opzione militare è ancora sul tavolo, ma è più possibile un rafforzamento delle misure economiche. “Una fonte vicina alla Casa Bianca mi ha parlato di due opzioni che l’Amministrazione sta considerando”, scrive Ward. “Gli Stati Uniti vorrebbero chiedere al Consiglio di sicurezza dell’Onu di porre un embargo completo su petrolio e gas nordcoreani. In secondo luogo, gli Stati Uniti sanzioneranno ancora più società cinesi e probabilmente anche le banche, visto che molte entità cinesi aiutano a riciclare il denaro nordcoreano”. “La vera questione è se Trump deciderà o meno di tornare bellicoso, o semplicemente vorrà mantenere viva il più a lungo possibile questa finzione di un processo di denuclearizzazione in corso”, ha detto ieri all’Asia Times Andrei Lankov, uno dei massimi esperti di Corea del nord. “Se il suo fallimento dovesse diventare troppo ovvio, potrebbe sentirsi obbligato a reagire, e potremmo tornare a una situazione molto rischiosa” come quella del 2017.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.