Mike Pompeo e Donald Trump (foto LaPresse)

Pompeo vola di nuovo da Kim Jong-un per il deal più importante

Giulia Pompili

In Corea del nord le attività proseguono anche nei centri di ricerca nucleari. Allora che cosa sta cambiando esattamente?

Roma. Il 4 luglio dello scorso anno, Kim Jong-un “festeggiava” l’indipendenza americana con il test di un missile balistico intercontinentale – il primo di questo tipo, e quello che ha un po’ cambiato tutto, perché il raggiungimento di quel tipo di tecnologia da parte della Corea del nord sembrava lontanissimo, e invece i fatti avevano smentito le previsioni. Mostrata al mondo la capacità di lanciare missili balistici intercontinentali, restava da dimostrare quella di miniaturizzare le testate nucleari e istallarle sui missili, e non è mai avvenuta ma vivere con il dubbio non è un granché. Il presidente americano Donald Trump aveva twittato a gennaio 2017: la Corea del nord e il suo rocket man non avranno mai un Icbm! E invece.

 

Esattamente un anno dopo, l’attuale segretario di stato americano Mike Pompeo è di nuovo in viaggio verso la Corea del nord. Il motivo della missione è quello più importante e delicato, e cioè l’implementazione dell’accordo di massima ottenuto durante il summit di Singapore tra Trump e Kim Jong-un. La denuclearizzazione, insomma. Pompeo ha già incontrato varie volte i funzionari di Pyongyang e anche il leader Kim Jong-un. Secondo diverse fonti, in questo momento è l’uomo di cui più si fida la Corea del nord: conosce i dossier ed è riuscito a tenere fuori dalle trattative un falco come il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, mantenendo un tono cordiale con i nemici di sempre. Come faceva notare ieri David E. Sanger sul New York Times, quello di Pompeo è un ingrato compito e di enorme responsabilità: Trump è riuscito a ottenere la foto della stretta di mano con Kim, ma non molte altre rassicurazioni. Pompeo, invece, deve riuscire a portare a casa un deal che sia più forte di quello con l’Iran, da poco stralciato da Trump. Non è detto che ci riesca.

Nel frattempo arrivano notizie poco confortevoli dalla penisola, e che confermerebbero la visione degli scettici. Secondo l’analisi delle immagini satellitari fatta da 38th North, nel centro di ricerca nucleare di Yongbyon, il cuore pulsante dell’ingegneria atomica nordcoreana, le attività vanno avanti business as usual. E’ possibile che il motivo sia di comunicazione, ovvero: finché la Corea del nord non sa esattamente cosa riuscirà a ottenere in cambio di qualche passo verso la denuclearizzazione, tutto resta così com’è. Questa teoria è confermata al Foglio da fonti diplomatiche: nonostante l’apertura e il dialogo con il Sud, le partite di basket congiunte e gli abbracci con il presidente sudcoreano Moon Jae-in, non c’è stato ancora nessun cambiamento nella vita dei nordcoreani all’estero, che continuano a evitare giornalisti e rapporti con sudcoreani e americani. Alla Farnesina non è in programma per ora l’accreditamento di un nuovo ambasciatore nordcoreano, dopo che nell’ottobre del 2017 l’allora ministro degli Esteri Alfano aveva deciso di interrompere la procedura di accreditamento del nuovo ambasciatore Mun Jong-nam – adesso responsabile della sede diplomatica nordcoreana in Siria. Siamo in una specie di limbo, e tutti – soprattutto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu – si aspettano un risultato dall’America.

 

Del resto, fare soltanto la pace con Kim Jong-un non può bastare. Circola una teoria di un riconoscimento non formale ma de facto della Corea del nord come potenza nucleare, vorrebbe dire non unirla al “Club Atomico” ma a quei paesi che non sono dentro al Trattato di non proliferazione nucleare, come Israele e il Pakistan. Può funzionare? E’ difficile immaginare la Corea del nord usare per prima la Bomba contro un nemico come l’America. Ma possiamo fidarci? Pyongyang ci ha abituati a cambi repentini di linea, soprattutto retorici, ma nulla può escludere che di qui a un anno non si torni alla situazione precedente, di test e minacce. Secondo punto: la Corea del nord non usa un sistema di comunicazione militare all’altezza degli altri paesi nuclearizzati – il famoso telefono rosso. In caso di utilizzo di testate atomiche ci sono delle convenzioni, delle procedure e dei protocolli che la Corea del nord non adotta. Terzo punto: la Corea del nord non è una democrazia. In un paese democratico chi mette il dito sul bottone rosso è pur sempre l’ultimo di una catena di comando e di controllo lunga, burocratica, rassicurante. A Pyongyang l’unico ad avere il dito sul bottone rosso è Kim Jong-un.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.