Emmanuel Macron (foto LaPresse)

La volonté di Macron in Libia è diversa da quella italiana

Daniele Raineri

Il presidente francese approfitta della crisi istituzionale nel nostro paese ma deve accontentarsi di un accordo non vincolante tra Serraj e Haftar

Roma. Il presidente francese, Emmanuel Macron, tenta di prendersi il dossier Libia in assenza dell’Italia – che nel frattempo è affaccendata a trovare un governo – ma non ci riesce. Ieri i quattro libici più potenti del paese si sono incontrati a Parigi in un summit organizzato dal governo francese per decidere come risolvere la spaccatura politica e militare che li divide e per l’Italia c’era soltanto l’ambasciatore in Francia Teresa Castaldo. Alla fine però i libici non hanno firmato un accordo, come avrebbero voluto i francesi, ma soltanto una dichiarazione di principi – che suona elegante ma che di fatto non è vincolante e non impegna nessuno. Secondo la dichiarazione, le fazioni libiche dovrebbero trovare una “base costituzionale” comune entro il 16 settembre e poi, con questa protocostituzione come guida, i libici dovrebbero andare al voto il 10 dicembre per eleggere sia il Parlamento sia un presidente. Da notare i termini: “Base costituzionale”, perché parlare di una “Costituzione” è un obiettivo inutile e troppo ambizioso. L’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, aveva già detto che secondo lui è molto difficile che si possa andare a votare entro il 2018 e considerata la situazione sul terreno potrebbe avere molta più ragione dei diplomatici francesi. 

 

Macron ha riunito a Parigi i due sfidanti che contano: Fayez al Serraj, il leader di Tripoli appoggiato dentro il paese da un assortimento di milizie locali che gli riconosce un certo grado di presentabilità all’esterno e appoggiato fuori dall’Italia e dalle Nazioni Unite, e il feldmaresciallo Khalifa Haftar, leader di Bengasi (e per estensione di tutto l’est del paese). Lo aveva già fatto nel luglio 2017 senza ottenere molto se non delle strepitose foto a tre con Serraj e Haftar, e in quell’occasione i commentatori italiani avevano parlato di “scippo della Libia ai danni dell’Italia”. Si trattava di allarmi prematuri, e tuttavia questa seconda volta cominciano a suonare molto reali. La Francia negozia con i libici, li riunisce e fa loro proposte con intenzioni che sono diverse da quelle dell’Italia. Per prima cosa Parigi non è così interessata a bloccare l’immigrazione dalla costa libica verso la Sicilia, perché non è un suo problema, quindi il fitto reticolo di accordi locali costruito sulla costa libica con le milizie e i sindaci dall’ultimo governo italiano non è una priorità francese – anche se ha ridotto il numero di sbarchi in Italia. Poi, vuole che il cosiddetto Esercito nazionale libico, che è il grande assembramento di milizie e gruppi fedeli a Haftar, sia riconosciuto come il vero esercito nazionale libico: facendo coincidere il nome con la funzione. I gruppi e le milizie che stanno a ovest o che semplicemente non stanno dalla parte di Haftar sarebbero molto contrariati da questa mossa perché considerano il Libyan Army poco più di una fazione più forte delle altre. Infine, c’è sempre da considerare che la Libia è un paese con immense risorse energetiche e il potere politico riesce a condizionare i contratti, quindi il vantaggio francese potrebbe diventare un danno per l’Italia. Insomma, c’è uno spread, una divaricazione, anche tra la Libia e l’Italia. E pensare che il primo serio tentativo di mettere d’accordo est e ovest era partito a Roma nel dicembre 2015 grazie alla supervisione del governo italiano che aveva organizzato un incontro molto ampio tra le forze più importanti in Libia, che di fatto aprì una lunga stagione di tregua e che poi salì di livello e divenne più sofisticata. Ma quest’estate siamo troppo impegnati con la politica interna per tenere d’occhio anche Tripoli e Bengasi.

 

Un’analisi interessante dell’International Crisis Group (è una ong che si occupa di risoluzione di conflitti) sostiene che se Serraj e Haftar avessero firmato un accordo ci sarebbero state più possibilità di scontri e combattimenti, perché in Libia sono attesi da fazioni che non avrebbero accettato impegni vincolanti. Invece così, grazie a questo grado di ambiguità, c’è tutto lo spazio possibile per trattare nell’ombra di stanze importanti sparpagliate per tutto il paese. Clan, businessman, fazioni islamiche e altri. Sono i Poteri medi della Libia e se si vuole arrivare alla stabilità non vanno fatti arrabbiare.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)