Tariq Ramadan

Sharia e cash. Così Tariq Ramadan diventa il "martire islamico di #MeToo"

Giulio Meotti

Una colletta da 140 mila euro, 100 mila firme e complotti per liberare l'islamologo accusato di stupro

Roma. La prima colletta aveva messo insieme 107 mila euro. Adesso ne arriva un’altra che, in meno di quarantotto ore, ha racimolato già 30 mila euro. Obiettivo: trovare altri 150 mila euro. Tutto per la gloria e l’innocenza dell’islamologo Tariq Ramadan, in custodia in Francia dall’inizio di febbraio per le accuse di stupro, tra cui uno su una donna disabile (per ora sono quattro in tutto, fra Francia e Stati Uniti). Ramadan è detenuto dal 2 febbraio per il rischio che possa esercitare “pressioni” sulle donne che lo hanno denunciato e già minacciate di morte e di violenza dalla galassia islamista. La detenzione del nipote del fondatore della Fratellanza musulmana ha provocato grande scalpore nella comunità musulmana francese e svizzera, che si è mobilitata con una macchina di propaganda di cui non si ha memoria in un caso simile.

 

Dall’8 marzo, Tariq Ramadan, che sostiene di soffrire di neuropatia, è ricoverato all’ospedale di Pitié Salpêtrière (tredicesimo arrondissement di Parigi). “La detenzione preventiva non ha motivo e ha conseguenze drammatiche sulla sua salute molto fragile” recita la colletta (i giudici hanno stabilito che non sussiste pericolo).

 

Intanto la pagina “Liberate Tariq Ramadan” ha raccolto 55 mila like. C’è anche una petizione che chiede il “rilascio immediato” di Ramadan e già arrivata a 110 mila firme. A guidare questa campagna il presidente del Collettivo dei musulmani di Francia, Nabil Ennasri, personalità notoriamente legata al Qatar, che aveva già finanziato molte iniziative di Ramadan. C’è l’Unione francese dei consumatori musulmani guidata da Yamin Makri, che parla di “cospirazione sionista”, mentre altri preferiscono i toni più morbidi della battaglia garantista. Ci sono state manifestazioni davanti al Palais de Justice a Parigi per protestare contro la detenzione di Tariq e anche a Casablanca (Marocco) si è tenuta una “conferenza di solidarietà con Ramadan”. Un video della moglie del teologo, Iman, è stato visto da 700 mila persone.

 

I rettori Azzedine Gaci (Villeurbanne) e Kamel Kabtane (Lione) sostengono il “rilascio immediato” di Ramadan, vittima di “un linciaggio politico-mediatico”. Mediapart, il sito di Edwy Plenel, conferenziere assieme a Ramadan, pubblica un appello di sessanta intellettuali e personalità di tutti i ceti che chiedono una “giustizia imparziale ed equa” per Ramadan.

 

“E’ sull’orlo della morte”, ripetono intanto i suoi fan. “Non gli lasciano vedere la moglie”. Tariq è paragonato a Nelson Mandela, a Jean Moulin, al capitano Dreyfus. L’obiettivo, scrive il Figaro, è farne “il martire della banlieue”. E di #MeToo. Così la senatrice socialista Samia Ghali non esita a dire che nel caso di Ramadan è il “musulmano” e non “l’uomo” a essere giudicato dalla giustizia. E quello i kuffar, i miscredenti, non possono giudicarlo. Sui social, Ramadan diventa così un “prigioniero politico”.

  

Lui, dal carcere, continua a evocare il rispetto per le donne e l’amore per il prossimo, “sia ebreo che cristiano”. Peccato, stando alle sue accusatrici, che non esitasse a urinare sulle sue vittime e che volesse “cagargli in bocca”. Alla giustizia francese il dovere ora di stabilire la verità. Massimo affronto islamofobo.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.