Un manifesto del presidente cinese Xi Jinping a Pechino (foto LaPresse)

E' presto per l'impero

Redazione

La decisione di Xi Jinping di diventare presidente “eterno” e la realtà

Lo scarno comunicato della Xinhua, l’agenzia di stampa cinese, con il quale Pechino ha reso nota domenica l'intenzione di cambiare la Costituzione ed eliminare il vincolo dei due mandati presidenziali, è diventato in poche ore la notizia più importante d’Asia, anche più del tentativo di riavvicinamento tra Corea del nord e Corea del sud. Il presidente cinese, Xi Jinping, che dovrebbe entrare nel suo secondo mandato ufficialmente il 5 marzo con l’inizio della nuova legislatura, e che già era riuscito a trasformarsi nel leader cinese più potente dai tempi di Mao, adesso è intenzionato a restare al suo posto ben oltre i suoi predecessori. In sostanza, negli ultimi cinque anni, Xi è diventato l’uomo più potente nella storia moderna della Cina, e allo stesso tempo la Cina, sotto la sua leadership, non è mai stata tanto forte a livello globale. Molte analisi ieri parlavano di una riforma costituzionale che suona come un tentativo, da parte di Pechino, di evitare i problemi provocati dalla cosiddetta “instabilità occidentale”. Un modo cioè per mantenere saldo il potere centrale e soprattutto stabili le riforme e i progetti lanciati da Xi. La stabilità, appunto, come arma per trasformare la Cina (pure attraverso progetti mastodontici come la Nuova Via della Seta) nella potenza egemone capace di scippare all’America la leadership mondiale, claudicante dopo l’elezione di Donald Trump.

 

Benché ieri tutti i titoli cinesi con la parola “imperatore” e “re” nei nomi siano andati bene in Borsa, in una bizzarria tipica dei mercati finanziari, non è così facile trasformare Xi Jinping in un nuovo Qin Shihuang, anzi, in un nuovo Vladimir Putin. Anzitutto perché all’interno dello stesso Politburo non tutti i membri sono dei fedelissimi di Xi, e non tutti sono disposti a lasciare il campo libero al possibile presidente “eterno”. Il messaggio lanciato da Pechino, inoltre, potrebbe aumentare il sentimento anticinese non solo tra i paesi limitrofi – notava ieri il South China Morning Post – ma anche tra le grandi potenze, che a questo punto avrebbero il tempo di riorganizzare alleanze, e provare a mettere un freno all’egemonia.

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