A destra, Sami Anan in una foto del 2011, mentre accoglie al Cairo Mike Mullen, Joint Chief of Staff americano

Uno dopo l'altro, Sisi neutralizza i suoi rivali alle elezioni

Rolla Scolari

Finisce in carcere anche il generale Anan, che aveva annunciato la sua candidatura. E' solo l'ultima testa a cadere nell'opera di epurazione avviata dal rais egiziano, che correrà da solo per un nuovo mandato

Nel febbraio 2011, quando piazza Tahrir era ancora il simbolo di una rivoluzione in divenire, il generale Sami Anan, capo di Stato maggiore da sei anni, era sceso tra i manifestanti per assicurare loro il sostegno dell’esercito. Cresciuto nei ranghi di quella che in Egitto è la nobiltà militare, l’Aviazione, il generale Anan ha fatto una solida carriera attraverso una promozione ricevuta dopo il massacro terroristico di Luxor nel 1997, in cui l’unità che comandava svolse un ruolo centrale nel riportare la sicurezza nell’area. Così, per anni è stato ai vertici di quel Consiglio supremo delle forze armate meglio noto come SCAF, che ha servito da giunta militare alla guida del paese dopo la caduta del rais Hosni Mubarak. Benché sia stato licenziato dopo decenni di blasonata carriera assieme agli ufficiali che gli erano fedeli dall'allora presidente e leader dei Fratelli musulmani, Mohamed Morsi, arrestare oggi un tale alto grado dell’esercito trasportandolo fuori dalla propria automobile mentre si reca in ufficio è un rumoroso azzardo.

 

Ieri, Sami Anan è finito davanti al procuratore militare a poco più di una settimana dalla presentazione della sua candidatura al voto presidenziale di marzo: una sfida nei confronti del rais Abdel Fattah al Sisi, in corsa per un secondo mandato. L’arresto non è avvenuto in sordina: è stato anticipato dalla lettura sulla tv di stato di una dichiarazione dei vertici dell’esercito. Anan è accusato di avere infranto le regole militari – resta un ufficiale di riserva – e di avere falsificato documenti. E il suo passo è considerato, come recita la voce monotona del portavoce militare, un “incitamento contro le forze armate”. Si tratta di accuse che potrebbero costare anni di carcere a un uomo per lungo tempo ai vertici del tentacolare regime egiziano, in cui esercito, politica e un’economia parallela in mano ai militari rappresentano un’unica realtà.

  

 

L’ex generale Anan era l’ultimo partecipante credibile rimasto nella gara elettorale. Un altro candidato, Ahmed Shafiq (già premier e candidato al voto del 2012 in quota ex regime), è stato deportato a novembre dal suo esilio negli Emirati arabi – che sono alleati del Cairo – dopo avere annunciato la sua intenzione di correre alle elezioni. E’ anche sparito nel nulla per 24 ore, per poi annunciare a gennaio il suo ritiro. Un altro potenziale rivale del rais Sisi, lo sconosciuto colonnello dell’esercito Ahmed Konsowa, è finito in carcere per sei anni dopo avere dichiarato la sua intenzione di presentarsi al voto in un video (l’accusa è violazione del codice militare). Il nipote dell’ex presidente Anwar el Sadat ha ritirato la propria candidatura la settimana scorsa citando un’atmosfera ostile alla “genuina competizione”.

 

Oggi, poche ore dopo l'arresto di Anan, anche l'avvocato Khaled Ali, l'ultimo candidato rimasto in corsa per sfidare Sisi, ha annunciato il proprio ritiro. Su di lui pendeva l’accusa di gesti osceni – l'avvocato si era difeso parlando di foto ritoccata – davanti all’entrata di un tribunale. Le elezioni di marzo si annunciano solitarie per il presidente Sisi.

 

L’allontanamento a sorpresa di Anan dai vertici militari nel 2012 è stato interpretato come l’indizio di fratture interne alle forze armate, che contrappongono Anan e Sisi. E’ difficile capire quanto seri siano oggi questi strappi. In generale, il recente licenziamento di Khaled Fawzy, capo dell’intelligence, e a ottobre quello di Mahmoud Hegazy, capo di Stato maggiore, raccontano l’esistenza di problemi ai vertici del regime.

 

Resta da capire perché un veterano del sistema Egitto come Anan abbia preso il rischio di candidarsi senza rendersi conto delle conseguenze. L’ex generale “sembra avere fatto male i calcoli – spiega Issandr el Amrani, esperto dell’International Crisis Group – ma in pochi si aspettavano una tale reazione del regime. Era un leader popolare nell’esercito sotto Mubarak. Ha sostegno, benché Sisi abbia operato purghe negli ultimi anni tra i ranghi militari”. Secondo el Amrani, a mettere in allerta il governo sarebbe stato il discorso con cui l’ex generale ha annunciato la sua corsa: ha parlato di gestione della sicurezza nazionale – Sisi è sotto pressione per l’aumento degli attacchi terroristici e il crescere dell’attività jihadista nel Sinai -, ha presentato come suo vice Hisham Geneina, ex capo di un organo statale anti-corruzione licenziato dal rais, e ha detto che avrebbe fatto campagna sull’idea di un governo civile: una sfida più vasta di quella che il regime si aspettava.

 

[Articolo aggiornato in redazione alle 18:20 del 24 gennaio 2018]

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