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A teatro i nemici di Trump finiscono per somigliargli

In The Parisian Woman, l’ennesimo dramma di Broadway contro il presidente americano, i castigatori del presidente non sono migliori di lui

Il pubblico di Broadway si sganascia e si ritrova fra le mani applausi improvvisi a ogni battuta contro Donald Trump, e in The Parisian Woman le occasioni abbondano. Beau Willimon, lo sceneggiatore che ha traghettato la britannica House of Cards in America, consegnando la serie alla fama universale, ha scritto questa pièce ambientata nei salotti del potere di Washington nel 2013, ma l’ha riadattata appositamente per questi tempi trumpiani. La produzione ha poi reclutato Uma Thurman, al suo debutto a teatro, nel ruolo housecardiano della moglie-socialite molto caritatevole e senza scrupoli che con le armi del ricatto propizia le fortune della power couple di turno, e lei cammina uno o due gradini al di sopra della perfezione scenica. Il grande nome di Hollywood funge anche da sigillo di garanzia di animosità anti trumpiana, se nell’ambiente del teatro e dell’arte ce ne fosse bisogno. Non si tratta, tuttavia, soltanto di un plot aggiornato al contesto politico odierno. E’ uno spettacolo cangiante, che si sforza di tenere l’impossibile ritmo della realtà. Ogni settimana il testo cambia, incorporando le ultime notizie di cronaca politica, riferendo di episodi realmente accaduti e di tweet realmente twittati. E’ teatro che orbita alla stessa velocità dei canali all news, e il centro di gravità permanente è sempre lo stesso. Così dagli inizi di dicembre, da quando è in cartellone all’Hudson Theatre, gli spettatori hanno assistito a uno stesso canovaccio sceneggiato in modi diversi e sempre attualizzati.

 

 

A parte la dimensione ultracontemporanea, i protagonisti sono rappresentazioni attuali degli immortali tipi del potere di Washington: l’avvocato che ha fatto i soldi ma brama l’affermazione politica, il consigliori infido, le amanti che fanno il doppio gioco, l’ambiziosa politica che diventa governatrice della Fed e mette il sigillo sulla sua dinastia politica, la rampolla progressista uscita dall’Ivy League che vive in campagna elettorale e così via. Tutti usano e si lasciano usare in questa danza della cupidigia dell’altrui attorno al totem onnipresente del presidente, motore immobile degli affanni della capitale. La drammatizzazione teatrale dell’antitrumpismo non è una trovata particolarmente originale.

 

In un anno di governo si è visto Micheal Moore su un palco che sfida Trump in una gara di tweet, il 1984 di Orwell si è popolato di riferimenti di cronaca, il Giulio Cesare scespiriano portato in scena in estate a Central Park ha il ciuffo aranciato e la cravatta rossa.

 

Ciò che è originale in The Parisian Woman è che i nemici di Trump finiscono per somigliarli, e nascondono l’invidia per il suo successo sotto il belletto della loro superiorità morale. Più s’industriano per contrastarlo e più svelano la loro stretta parentela con il nemico. Dichiarano di volere il potere per leave a mark, per lasciare un segno nella storia, per obbedire a grandi ideali che il presidente quotidianamente umilia, ma alla fine sono creature piccine, antieroi meschini pronti non solo al compromesso, categoria tutto sommato virtuosa, ma alla svendita, all’estorsione, al tradimento, alla violenza. Il discorso appassionato con cui il marito della Thurman, avvocato che ambisce alla poltrona di giudice federale, elenca tutte le nobili cause che potrebbe portare avanti una volta offerte al Senato le balle necessarie per farsi confermare è il momento della verità. I diritti degli elettori, la parità sessuale, il gerrymandering, la giustizia sociale: su quante cose potrò influire, mia adorata, con questa carica vitalizia che sopravvive alle amministrazioni e ai presidenti, e il prontuario dell’ipocrisia per dare una spolverata di nobiltà al potere mette in moto la mortale macchina della cattiveria umana. I personaggi di questo dramma contro Trump non sono affatto migliori di lui.

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