La mente di Abe
A Tokyo il superconsigliere del premier ci spiega gli antidoti al populismo (università quasi gratis, per esempio)
Tokyo. Mentre tutti sono concentrati sui risultati del Congresso del Partito comunista cinese, in Giappone un manipolo di giornalisti staziona da giorni al Kantei, il palazzo del primo ministro di Tokyo. Ci sono cavi attaccati a ogni presa disponibile, reporter seduti per terra davanti alle porte degli ascensori, chi mangia, chi dorme, chi telefona, tutti in attesa che qualcuno fornisca informazioni sulle prossime mosse (nomine?) del governo di Shinzo Abe, dopo la vittoria alle elezioni di domenica scorsa. Saliamo al quarto piano del palazzo vetrato, e in una stanza con vista sulla foresta di bambù ci aspetta Tomohiko Taniguchi. Sessant’anni appena compiuti, docente di Politica economica e diplomazia alla Keio University, vent’anni passati a fare il giornalista al Nikkei Business, Taniguchi oggi è uno dei sussurratori di Shinzo Abe, uno dei cinque special advisor del primo ministro e suo personale ghostwriter. Qualche settimana fa questo signore dall’inglese impeccabile (è stato corrispondente da Londra per molto tempo, quando faceva il giornalista economico) ha creato non pochi problemi a Bruxelles dopo aver detto alla Bbc che il Giappone tiene in considerazione l’Unione europea, certo, ma tiene anche a un rapporto speciale con la Gran Bretagna, pure dopo la Brexit. Ma come, gli domandiamo, anche dopo che l’Inghilterra ha mostrato il suo lato più populista? Non è il Giappone il paese immune dal populismo? “Nessun paese è immune dal populismo”, dice al Foglio Taniguchi. “Ma è una domanda che mi fanno spesso: guarda a Donald Trump, alla Brexit, molti paesi sono ormai schiavi del populismo, perché voi no? Lasci che spieghi una cosa: l’Amministrazione Abe ha fatto passare alcune leggi contro le quali si è scagliata l’opposizione. Per esempio la Trans Pacific partnership, osteggiata dalla lobby degli agricoltori, tradizionalmente dalla parte dei lib-dem. Nonostante tutto, la decisione di Abe è riuscita a prevalere sulle proteste. Da una parte, la risposta potrebbe essere legata al fatto che l’università in Giappone costa poco, e il paese offre ai giovani un’istruzione di alto livello pressoché gratis. Ma non può essere l’unica spiegazione. La mia ipotesi è che diversamente da una situazione di inflazione, quando vivi la deflazione i prezzi sono fermi, e in qualche caso scendono, e finisci col credere che la primavera non arrivi mai. E’ l’inverno, e l’inverno dura dodici mesi l’anno. Qui la crisi economica che è iniziata nel 1990 è durata tantissimo – anche se adesso posso dire che ne siamo quasi fuori – ma chi è cresciuto in questo periodo ha abbassato le proprie aspettative, perché se speri in qualcosa di più potresti restare deluso”. Ecco, il problema della società giapponese è tutto qui, dice la mente e la penna di Abe: “Oggi ci sono pochissime persone che sono disposte a prendersi dei rischi. I lavoratori o gli studenti che si mettono alla prova andando all’estero, per esempio, sono sempre meno”. Secondo Taniguchi in Giappone i giovani, frustrati per la lentezza dei cambiamenti, credono che l’economia difficilmente crescerà, ed è questo il punto più difficile dell’Abenomics: “Gli stimoli a breve termine stanno funzionando alla grande, ma i cittadini continuano a non vedere quel che c’è di positivo davanti a loro ed evitano i rischi”. Perfino le grandi aziende giapponesi depositano, tengono lì fermi milioni di yen, “ma per farci cosa? Dicono: ‘Per prepararsi ai giorni peggiori’”. Alla faccia dell’ottimismo.
Messa così, sembra che più di un ministro dell’Economia ci sia bisogno di uno psicologo: “Il primo ministro giapponese è il commander in chief, ma quando dobbiamo parlare di economia, il primo ministro deve diventare cheerleader in chief. Deve mandare il messaggio che se lavori duro puoi avere un futuro migliore – Che se ci provi e ti aspetti di più dalla vita allora puoi ottenerlo, se sei ottimista anche la società intorno a te cambia. Ma questo non è un discorso che vale solo per il Giappone, vale per tutte le economie avanzate”. Il Giappone, secondo Taniguchi, condivide con l’Europa e gli Stati Uniti il problema della crescita. “Non c’è consenso tra gli economisti sulle soluzioni da adottare. In Europa, poi, la crisi dei migranti ha messo in luce ancora di più il rallentamento della crescita”. Il Giappone, “essendo isolato geograficamente, è stato esentato dalle difficoltà che affrontano paesi come l’Italia. Ma nessun paese è un’isola davvero, ogni paese è connesso con gli altri”.
Il caso giapponese è unico in un certo senso, “ma alla base di tutti i problemi ce n’è sempre uno”: la crescita, anche se nessuno sa come aumentarla. Il rallentamento dell’economia nipponica “ha portato a quella lunga crisi economica”, che secondo Taniguchi è legata intrinsecamente al disastroso tasso di natalità giapponese (1,4 per cento), il quale a sua volta ha portato a livelli allarmanti la crisi demografica. Sin dal 2012, il primo ministro Abe ha cercato una soluzione al problema dei bassissimi tassi di natalità giapponese, ma “anche se dovessimo riuscire a portare quel famoso 1,4 attuale all’1,8, che è il target del governo, saremmo in grado di mantenere in vita la popolazione giapponese, cioè a non estinguerci, ma la crescita resterebbe lenta”.
Qualcuno, in Giappone, dice che saranno le nuove tecnologie a salvare l’economia giapponese: “Il futuro sarà diverso: l’intelligenza artificiale, i big data, l’internet delle cose, la robotica. Queste cose potrebbero essere combinate insieme, e regalarci una realtà che non abbiamo ancora sperimentato, ma la verità è che non possiamo dire niente di concreto sul tipo di futuro che ci daranno. Siamo in un periodo di grandi transizioni, da qualcosa di molto vecchio a qualcosa di molto nuovo, il problema è che non sappiamo se è davvero morto questo ‘vecchio’, e non sappiamo nemmeno se questo ‘nuovo’ sarà in grado di prendere forma. Nel frattempo però – e credo sia lo stesso in Italia – il numero di anziani sta crescendo esponenzialmente, e con loro la spesa del welfare e delle pensioni. Sarebbe indispensabile, per paesi come il Giappone e l’Italia, spendere più soldi per le generazioni future, ma siamo costretti a spenderli per i nostri genitori e i nostri nonni. La democrazia è inadatta per risolvere questo tipo di problemi. Se l’Italia o il Giappone fossero paesi sotto regimi autoritari, si potrebbe dire: aboliamo il budget del welfare destinato agli anziani, e investiamo la stessa somma sui giovani. Non ci possiamo fare niente: dobbiamo vivere con questo costosissimo sistema, è la democrazia”. In realtà, uno dei motivi delle elezioni anticipate dello scorso weekend aveva a che fare con un cambio di destinazione delle entrate fiscali del governo: “Sarà investito un po’ di più sui giovani, ma è sempre la democrazia, appunto, a dover regolare il passaggio di investimenti”.
L'editoriale dell'elefantino