La bandiera curda al fianco di quella irachena (foto LaPresse)

Il riscatto dei giovani curdi

Adriano Sofri

Nella notte, disarmati, hanno riempito le strade a Sinjar, Qanakhin, Khurmathu e Kirkuk. La cosa cui tengono di più? Reinalberare la propria bandiera

[Il testo che segue è preso dalla pagina Facebook Conversazione con Adriano Sofri]

 


  

Erbil. La ribellione di Sinjar, Qanakhin e Khurmathu, e poi Kirkuk, ha accompagnato l'uscita delle torve milizie sciite Ashd al-Shaabi dalle città "contese", e i giovani, disarmati, hanno riempito le strade dovunque, fino a tarda notte, a migliaia, anche a Kirkuk dove gli occupanti avevano instaurato un regime di terrore. I peshmerga leali sono stati mobilitati ma non sono intervenuti. La ribellione ha un'immagine che viene ripetuta innumerevoli volte dalla televisione Rudaw e dai siti sociali: è un video girato col telefono nel centro di Kirkuk, dove una camionetta della polizia militare curda passata al servizio degli iracheni viene accolta dagli insulti della gente. Gli chiedono che cos'è la bandiera irachena che ha sostituito quella curda sul suo cofano, un giovane si avvicina a indicarla con disprezzo, un altro, un ragazzo, arriva di corsa e salta sul cofano, afferra la bandiera e la strappa, poi ruzzola giù perché la camionetta accelera. La gente protegge la sua fuga, e applaude il suo coraggio. Poche ore dopo, quella scena è diventata il prodromo di una discesa in strada coraggiosa e inerme - inerme non è aggettivo frequente nel Kurdistan - di giovani soprattutto.

 

“Noi siamo i poveri, siamo i figli del popolo”, gridano. “I peshmerga devono solo spalleggiarci, noi pacificamente mandiamo via gli occupanti. Basta che siamo uniti. Oggi è il giorno dei curdi, non del Pdk e del Puk”. Sono i figli e i fratelli di quelli che la notte della vergogna erano in strada e furono frustrati, coi loro fucili inutilizzati. Grida uno: “Tre giorni che la gente di Qanakhin non dorme, Ashd al Shaabi ha strappato e bruciato le bandiere e ucciso decine di curdi. Noi siamo sempre rinati dalla persecuzione. Qanakhin è di nuovo piena di bandiere curde. Ai peshmerga chiediamo solo di stare dalla nostra parte moralmente”. Rudaw rintraccia il ragazzo della bandiera, lui dice cose epiche con un tono tranquillo: “E' pieno di persone molto più coraggiose di me. Si muore una volta sola, meglio farlo degnamente. Siamo pronti a ripetere quel gesto, io e i miei amici, in tutti i quartieri di Kirkuk. Hanno umiliato la nostra bandiera, le hanno bruciate, calpestate, ci hanno ballato sopra. Noi non abbiamo avuto paura di Daesh, non abbiamo paura di questi altri barbari. La mia famiglia è orgogliosa di me, come ogni altra famiglia curda dei propri figli”. A Qanakhin (si ricordi che è una città curda ma a maggioranza sciita) la ribellione è cominciata con un uomo anziano che camminava con la bandiera ed è stato aggredito e picchiato da tre Hashd al-Shaabi, e la gente è intervenuta a difenderlo e in breve lo sdegno si è mutato in rivolta. Qanakhin è fiera di essere stata la prima a ribellarsi. Lo stesso è successo a Sinjar. 

 

Era difficile immaginare da dove potesse venire un riscatto al disastro dell'invasione irachena e iraniana, spalleggiata dalla famosa coalizione internazionale e favorita dalla complicità di una fazione di notabili curdi di Suleymanyah e Kirkuk. I giochi sembravano fatti, i curdi di Kirkuk in fuga e braccati. Avevo ricordato che il Kurdistan ha più di metà della sua popolazione di giovani sotto i vent'anni, e che magari loro avrebbero potuto “darsi un appuntamento”: se lo sono dato stanotte. Qualunque cosa accada, ora i curdi avranno qualcosa cui affidare il proprio riscatto. Riferisco qui mentre le cose succedono e senza badare alla forma, perché sia scritto, nell'ora in cui tanta parte del mondo dorme, com'è giusto.
 
  

 

  

   

 

 

 

 

 

 

 

 

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