Soldati iracheni a Kirkuk (foto LaPresse)

La guerra di parole mossa da Iraq e Iran (e Turchia) contro il Kurdistan è passata alle armi

Adriano Sofri

Le forze irachene hanno occupato la base militare K-1, alla periferia ovest di Kirkuk, che è, coi pozzi di petrolio e con l’aeroporto, uno dei tre obiettivi strategici della loro offensiva

Dalla mezzanotte tra domenica e lunedì la guerra di parole, nervi e assedio mossa da Iraq e Iran (e Turchia) contro il Kurdistan è passata alle armi. L’offensiva delle milizie sciite irachene Ashd al-Shaabi (la “Mobilitazione Popolare”) e dell’esercito regolare iracheno, con un ingente armamento di carri e artiglieria, è diretta secondo molteplici testimonianze dall’iraniano Qasem Soleimani, il capo delle forze dei Guardiani della Rivoluzione per le operazioni speciali e all’estero. Un portavoce del governo iracheno ha avuto l’imprudenza – l’impudenza? – di dichiarare che Soleimani è “un consigliere delle milizie Ashd al-Shaabi”.

  

L’avanzata irachena è stata tenuta in scacco all’inizio, finché non è stato chiaro che i capi di una parte ingente delle forze militari del Puk, il partito egemone di Suleymanyah e Kirkuk, avevano concordato di disertare il confronto. È la fazione legata alla famiglia Talabani, opposta a quella di Ali Rasul Kosrat, il vicepresidente e veterano che con le sue divisioni di peshmerga è rimasto solo a tenere il campo. Ne è venuta una sproporzione pesante fra i contendenti – la Forza 70 del Puk, quella che è stata ritirata dai suoi capi, ha il miglior armamento – e soprattutto un tracollo di quello che si chiama il morale delle truppe.

   

Si sono visti molti curdi piangere di rabbia e di umiliazione. Le strade di Kirkuk sono gremite di cittadini e di volontari arrivati da ogni parte del Kurdistan, molte donne fra loro, decisi a battersi ma dotati solo delle loro personali armi leggere. Da Erbil il Pdk di Barzani ha fatto convergere su Kirkuk i suoi peshmerga, ma intanto dalle postazioni disertate le truppe irachene avevano potuto avanzare, a Tuz Khurmathu (dove si svolgono gli scontri più duri) e in altri punti del vastissimo confine, fino a occupare, senza trovare resistenza, la base militare K-1, alla periferia ovest di Kirkuk, che è, coi pozzi di petrolio e con l’aeroporto, uno dei tre obiettivi strategici della loro offensiva.

 

La coalizione internazionale è per ora assente, salve parole di circostanza, e dà l’impressione di voler permettere una punizione del Kurdistan disobbediente nel referendum e portarlo di forza a un negoziato segnato dal fatto compiuto del ritorno dell’Iraq alle posizioni abbandonate ingloriosamente nel 2014 di fronte all’arrivo dell’Isis e difese dai curdi. Il fatto è che questa offensiva irachena è in realtà un’offensiva iraniana, e che anche la defezione, degna di una corte italiana quattrocentesca, del Puk della famiglia Talabani è una defezione iraniana. (Continua)

   

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