Michael Bloomberg (foto LaPresse)

Il consesso progressista e distopico di Bloomberg mette nostalgia dei Clinton

L'ex sindaco incorona Macron leader del mondo libero

New York. La pausa pranzo del Global Business Forum si apre con Message in a Bottle dei The Police in sottofondo, scelta che freudianamente dice qualcosa sulla concezione che aleggia nel raduno che prometteva di essere il più interessante della settimana onusiana, prima che Trump promettesse la distruzione della Corea del nord e Bibi Netanyahu accusasse l’Onu di essere “l’epicentro dell’antisemitismo globale”. Là fuori, nel regno di trumplandia, s’abbatte la tempesta dei sovranismi, Michael Bloomberg e la crema riunita degli affari e della tecnocrazia lancia un messaggio nella bottiglia a chi non s’è stancato di parlare di progresso, sostenibilità, inclusività e via di questo passo.

    

È il “Sos to the world” che galleggia in un oceano senza timonieri ma pieno di scafisti. Tutti sanno che l’assemblea generale dell’Onu serve a produrre un profluvio di parole che vengono istantaneamente dimenticate e a bloccare il traffico di New York, mentre gli eventi laterali, gli incontri di alto livello, i panel minori, le tavole rotonde, i ricevimenti e le cene di gala hanno la funzione di giustificare l’apparato delle Nazioni Unite. A salvare la settimana del vaniloquio c’era la Clinton Global Initiative, un convegno talmente prestigioso che qualcuno si domandava se l’assemblea generale non fosse in realtà un incontro a margine dell’iniziativa dei Clinton. Non che fosse elettrizzante, s’intende. Era burocratico e protocollare come tutto il contesto, ma c’erano i Clinton, che molto hanno fatto, a loro modo, per dare un tocco pop e forse pure glamour al potere. Tutti i sinceri democratici guardavano con ammirazione al gran consesso che si radunava per discutere delle sfide globali. Non c’era salotto politico-economico più ambito.

   

Dietro le quinte c’erano zuffe epocali per farsi invitare. L’iniziativa quest’anno non c’è più, chiusa senza un motivo ufficiale ma non è un mistero che sia stata soppressa con l’anticipo necessario per evitare eventuali conflitti qualora Hillary fosse stata eletta alla Casa Bianca. Ritornare sui propri passi dopo la sconfitta non sarebbe stato elegante. Non è un mistero nemmeno che dopo le elezioni i finanziatori della fondazione Clinton abbiano ridotto drasticamente i loro contributi: l’Australia ha annunciato la fine delle donazioni dopo dieci anni in cui aveva dato 88 milioni di dollari, il governo della Norvegia, generosissimo con la fondazione, ha ridotto i contributi dell’87 per cento. Questione di return on investment, come si dice. Il vuoto lo ha riempito Bloomberg, ex sindaco di New York che in quanto a potenza filantropica non è secondo a nessuno. Ha cambiato modello rispetto ai Clinton, contando non sui contributi esterni ma soltanto sul finanziamento della sua galassia non profit, ma il passaggio di testimone è più gravoso di un cambio di format. “Bloomberg is the New Clinton” ha annunciato Axios, e il sottotitolo mai pubblicato è: “Gli piacerebbe”. La macchina da scoop di Mike Allen, si capisce, è media partner dell’evento, e da qualche parte bisognerà pur cominciare per far capire che il nuovo bastione del mondo progressista s’è spostato chez Bloomberg.

  

Quello che è venuto fuori è una giornata davosiana, patinatissima, con ospiti di altissimo profilo – fra capi di stato e leader del business – introdotta da un messaggio video di Lebron James e sostanzialmente cucita attorno alla sagoma di Emmanuel Macron, incoronato come punto di riferimento dell’affannato mondo liberale. “La principale priorità della Francia e dell’Europa è diventare leader nella lotta al cambiamento climatico, della nuova finanza, dell’intelligenza artificiale e della trasformazione del nuovo mondo”, ha detto Macron, invitato sul palco subito dopo l’intervento del padrone di casa. Nel segno della continuità, è stato Bill Clinton, nella primissima mattina, ad aprire le danze con messaggi ispirati: il futuro dipende “dal fatto che crediamo che la forza sociale, le riforme economiche e le riforme politiche discendono dalla divisione o dalla moltiplicazione”. In rapidissima successione sono passati Jack Ma, Tim Cook, Justin Trudeau, Lloyd Blankfein, John Elkann, Federica Mogherini e anche Paolo Gentiloni, leader uniti dallo spirito filantropico bloomberghiano e costretti su poltroncine bianche prese in prestito dal set di un film distopico dei primi anni Duemila. Tutto molto professionale e progressista, ma anche serioso e terribilmente bloomberghiano. Si sentiva addirittura nostalgia dei Clinton.

Di più su questi argomenti: