Marawi, la città sotto l'assedio dello Stato islamico (foto LaPresse)

Nazionalismi e jihad. Così si è creata la rete del Califfato delle Filippine

Giulia Pompili

Attacco in una scuola, ieri, a poche ore d'auto da Marawi

Roma. Ieri le Forze armate filippine hanno intensificato l’offensiva contro gli islamisti a Marawi, comunicando di voler “liberare l’area entro la fine del mese sacro del Ramadan”. La città, da cinque settimane ormai sotto assedio dei gruppi che hanno giurato fedeltà al Califfato, è stata già bombardata più volte e ora, secondo le autorità, i soldati stanno procedendo “casa per casa”, ma ci sono almeno mille edifici ancora da controllare. Da un paio di settimane si è unita con supporto logistico alle Filippine pure l’America, che ha mandato i P-3 Orion per raccogliere intelligence dall’alto, ma negli ultimi giorni, date le grandi piogge, i combattimenti erano stati rallentati. Finora la battaglia tra le Forze armate e i gruppi legati all’Isis ha ucciso 258 miliziani, 65 soldati e 26 civili – secondo i dati forniti dal governo di Manila.

 

Eppure proprio ieri, mentre il portavoce dell’Esercito filippino spiegava i successi e l’accelerazione per la conquista della città di Marawi, un altro gruppo di miliziani islamisti, circa trecento, assaltava un’altra città, a cinquantacinque chilometri di distanza. Il gruppo Bangsamoro Islamic Freedom Fighters (Biff) è entrato in una scuola primaria di Malagakit, vicino alla città di Pigcawayan, nel Mindanao del sud, ha ingaggiato un conflitto a fuoco con l’esercito e poi, prima di ritirarsi, ha preso in ostaggio cinque civili come “scudi umani”, come ha spiegato poi il portavoce delle Forze armate Restituto Padilla. Abu Mama Misri, portavoce del Biff, ha detto poi all’Inquirer che i cinque non erano ostaggi: “Li abbiamo protetti dalle pallottole dell’esercito. Li lasceremo andare a breve”. Di per sé, l’evento di ieri non ha avuto grosse conseguenze: non ci sono stati feriti, ma nessuno conosce ancora la sorte dei cinque rapiti. La scuola al momento del raid era chiusa, quindi nessun minore è stato coinvolto nell’attacco.

 

E’ però molto probabile che il gruppo Biff abbia voluto creare un diversivo, ma la tattica è rivelatrice: Mindanao, l’isola più a sud delle Filippine, la seconda per grandezza, dove da più di un mese il presidente Rodrigo Duterte ha istituito la legge marziale per contenere l’insurrezione islamica, è a un passo dal trasformarsi nella nuova base dell’estremismo islamico in Asia. “L’azione di Marawi sta unendo e facendo crescere tutti i gruppi, guerriglie autonomiste comprese, spiega al Foglio il fotoreporter freelance Fabio Polese che è stato a Mindanao lo scorso anno. Già da tempo lo Stato islamico, nei suoi canali ufficiali, parla esplicitamente del califfato filippino e invita i musulmani asiatici a unirsi al jihad (il governo di Manila dice che a Marawi ci sarebbero una quarantina di foreign fighters, ma si parla di un numero più alto).

 

“La zona dell’azione nella scuola di ieri è sotto il controllo del Fronte di Liberazione Islamico Moro (Milf), il gruppo più numeroso che combatte per l’autonomia” e che già da tempo è in trattativa col governo per un processo di pace. E nelle Filippine funziona tutto così: gli storici gruppi che combattono per l’autonomia si uniscono, oppure hanno contatti, con quelli che combattono per il jihad, che prima erano vicini ad al Qaida e ora giurano fedeltà allo Stato islamico. A Marawi poco più di un mese fa tutto è iniziato con una riunione tra due gruppi distinti ma legati all’Isis: Abu Sayyaf e il Maute. Alla riunione avrebbe dovuto partecipare uno degli uomini più ricercati dell’antiterrorismo internazionale, Isnilon Hapilon, conosciuto come Abu Abdullah al Filipini, capo di Abu Sayyaf prima di diventare, secondo l’Isis, “emiro dello Stato islamico delle Filippine”. “Anche i miliziani del Milf che non hanno giurato fedeltà a Isis, e che controllano diverse zone perché molto numerosi”, spiega Polese, “visto che il processo di pace è fermo da prima delle elezioni di Duterte, il diffondersi dell’ideologia Isis, i legami di sangue tra i gruppi – sono quasi tutti imparentati, la famiglia Maute, per esempio, è imparentata con un vecchio leader del Milf ora morto – e visti anche gli interessi economici, non è difficile immaginare che prima o poi il Milf possa dare sostegno logistico alla guerriglia, anche se non ufficialmente”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.