Donald Trump annuncia l'uscita degli Stati Uniti dal Trattato sul clima di Parigi (LaPresse)

Il paradosso del clima e dello strappo di Trump

Giuliano Ferrara

Cazzeggia e fa scherzi da prete, ma non è il nuovo Hitler. E come l'Europa e il resto del mondo non vanno da nessuna parte senza l'America, è vero anche l'opposto

Non esageriamo con questa storia della reductio ad Hitlerum di Trump. Anche Hitler era un cialtrone, ma purtroppo per noi e per sei milioni di ebrei d’Europa era un cialtrone ben organizzato, e si appoggiava su cose vere come l’umiliazione tedesca dopo la guerra e in conseguenza dei gravami imposti alla Germania, aveva alle spalle l’invenzione del fascismo italiano, l’inflazione alla venezuelana della Repubblica di Weimar, il mito della razza e il mito del Reich. Trump cazzeggia su Pittsburgh in un paese con la piena occupazione, che crede fermamente nello stato di diritto e nella integrazione multietnica, non insegue paganesimi, al Walhalla preferisce Dio padre onnipotente e la dittatura dell’Io e delle sue voglie, e sul clima il Potus fa scherzi da prete come un concorrente di reality show che deve evitare l’estromissione mantenendo la promessa elettorale, come dice Elle Kappa su Repubblica, di distruggere il pianeta. Qui si è sempre pensato che il riscaldamento è globale, ma il freddo è locale, e con la massima sprezzatura si aderisce alla teoria di Franco Prodi, l’astrofisico fratello dell’uomo di stato, secondo cui sarebbe eventualmente il sole, in complicato arrangiamento con le nuvole, a determinare il nostro clima. Figuriamoci se ci lasciamo impressionare dalla denuncia di un “patto volontario” che nessuno avrebbe mai rispettato. Ma se a Parigi, patria di Lafayette e committente della statua della Libertà, 197 paesi hanno siglato un accordo, disattenderlo platealmente su consiglio di un Bannon, insieme a Siria e Nicaragua, non è hitlerismo e nemmeno America First, è dabbenaggine.

 

Trump, artista dell’impostura, è come il pubblico dodicenne di certe tv, sottovalutarne il cattivo gusto è praticamente impossibile. Il fatto che sia Presidente degli Stati Uniti è un incidente che verrà sanato presto. Hitler vinse le elezioni e conquistò i cuori e le menti di un paese letteralmente impazzito, l’impostore ha ratings minoritari dopo qualche mese di allenamento, e si fa sfottere da Macron, Merkel e perfino da Putin: make the planet great again. Una commedia leggera, un paio d’ore di stand up comico al culmine del secolo americano. La democrazia elettorale è piena di difetti, questo lo sappiamo noi che stiamo a combattere con quei fessi dei grillozzi da qualche anno, e basta un vaffanculo e una rete pseudorousseauiana a integrare e lanciare il celebre programma del vaffanculo, ma la democrazia elettorale non è tutto, per fortuna che c’è il sistema, ci sono le élite, c’è la stampa libera, i giudici attivisti e responsabili, e si può perfino dare ragione al sellerone color d’arancio su clima e aborto senza per questo legittimarlo come leader di non si sa che cosa.

 

Oltre tutto, questa storia del clima è veramente paradossale. Quelli che difendono lo strappo del beota dicono, come i nostri amici del Wall Street Journal, che The Donald non farà male al clima perché l’accordo non serve a niente, al massimo c’è il sospetto che sia espressione di un cedimento alla pretesa obamiana, elitaria, di mettere la Silicon Valley al posto delle miniere di carbone (l’unica cosa di Obama che non abbia peccato di irrealismo da dreamer). Quelli che lo attaccano trattano la faccenda con le stesse note ideologiche della raccolta differenziata e della vendita di tabacco in pacchetti su cui è scritto che il fumo uccide, varianti amministrativiste e scientiste della pretesa totalitaria di controllare il cittadino-consumatore imponendogli comportamenti civici. Bullshit.

 

Il problema è eminentemente politico, è Elle Kappa. Questo ha detto una quantità di sciocchezze in campagna elettorale e ora si pretende ingenuamente che il mantenimento delle promesse sia un segno di buona salute del sistema. Così l’America si fa capolista di una poveracciata un po’ disperata, è potente e quindi si doterà di qualche carta, ma come l’Europa e il resto del mondo non vanno da nessuna parte senza l’America, è vero anche l’opposto. E in questa parte di mondo che ci interessa, a noi italiani stretti come cozze al meglio di una cultura europea che a sua volta espresse il meglio dell’ideologia americana, in un nesso che non sarà sciolto da un televisionista imbizzarrito e imbronciato, si fa vivo semplicemente, clima o non clima, freddo o caldo, il disprezzo per l’insipienza. E l’Inghilterra? Bè, lì, con tutta la loro bizzarria, hanno altri problemi, e tanti auguri per la sterlina.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.