Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Il denaro serve alla libertà, di cui è il presidio più sicuro e trionfante

Giuliano Ferrara

I soldi sono sexy e unificano il mondo, caro Galli della Loggia. E il banchiere Macron non dovrà renderne conto

Tra le tante cose di cui eventualmente chiedere conto a Emmanuel Macron, solo al giornale dell’anticasta, purtroppo a firma di Ernesto Galli della Loggia, poteva venire in mente di partire dal denaro. Ci avevano già provato Mélenchon, Le Pen, Fillon, e Hamon. Si è visto come è andata. Il fatto che i francesi abbiano dato prima una piccola ma significativa maggioranza relativa e poi una schiacciante maggioranza dei due terzi a un banchiere Rothschild competente e abile va ovviamente celebrato. Nel paese in cui un’ideologia retrograda ha compiuto i suoi riti parolai e pauperisti, da Péguy e Barrès a De Gaulle, fino a Mitterrand, sacrificando in parole molto alate all’odio per l’argent, l’argent roi; fatto salvo che anche il successore del Generale, Georges Pompidou, fu un banchiere Rothschild, e non parliamo della funzione egregia svolta dall’accumulo di moneta e ricchezza patrimoniale nelle corti delle decine di regnanti che hanno fatto della Francia il paese centrale e universalista che è, senza trascurare i guasti sanguinari che l’Incorruttibile arrecò alla grande Rivoluzione di fine Settecento; tutto considerato, insomma, sarebbe stato meglio parlar d’altro.

 

Il denaro non serve solo alla politica, che peraltro i demagoghi e i fiancheggiatori dei demagoghi non vogliono finanziata dallo stato né dai privati perché semplicemente non la vogliono, e basta, la temono, sanno che è il limite alla loro effimera padronanza del campo. Serve alla famiglia. All’emancipazione individuale. Alla ricerca scientifica. Agli intellettuali che scrivono sui giornali e ai loro editori. Ai contadini che ammazzano il maiale. Agli operai e agli impiegati. Serve ai lettori che acquistano. Serve alla vita del commercio e dello scambio. Ai giovani e ai vecchi. Agli esteti. Alla scuola e alle università che funzionano. Agli ospedali dove ci curiamo. Alla libertà, di cui è presidio il più sicuro e trionfante, visto che in alternativa al denaro e alla sua circolazione, al suo investimento, al suo risparmio, alla sua dissipazione, perfino, non restano che moralismo, patriarcalismo, statalismo, tutela, protezione in cambio di umiliante servitù, collettivismo, potere unico e indiscutibile, e non si conosce da tempo una funzionante e sana economia del baratto, tranne che nei sogni della Val di Susa, così bella, e della sinistra radicale e trombona, così vacua. Il solo denaro condannabile è quello percepito contro la legge, esente per evasione dai doveri fiscali, il denaro che luccica e incanta nella gestione politica del marchio e del lusso, il denaro corruttore perché demagogicamente agitato come segno di successo personale contro le cosiddette élite: che ora dovrebbero ritorcere sull’impostore americano non così ricco e incapace di dirci quali tasse abbia mai pagato il suo “lock her up” in un “lock him up”, ma non lo faranno perché hanno il vizio di una certa eleganza di tratto.

 

Non posso chiederlo al mio amico Ernesto, che è così fragile da aver annunciato il voto per Grillo dopo le elezioni del 2013, fra un “tà-tà” e un comico “arrendetevi tutti” da vero squadrista del Kabarett, che è così instabile, ma con sincerità, da averci raccontato nelle sue belle memorie intellettuali di essersi iscritto al Partito socialista per votare l’anno dopo comunista, non posso chiederlo a lui ma è chiaro che il denaro va riabilitato, specie dopo l’elezione di Macron. Ha detto di essere “orgoglioso” del suo passato di banchiere d’affari. Ha dimostrato che un banchiere d’affari può, senza promettere l’impossibile, parlare sul serio con i sindacalisti e gli operai che lo hanno fischiato, nel pieno di una campagna elettorale che lo oppone alla regina dei selfie classisti nazionalisti e poveraccisti a un tanto al chilo.

 

Ha spiegato che il denaro è una chance per tutti, che non c’è disonore per un giovane a diventare miliardario, e che solo una società bene amministrata, possibilmente da quadri dell’Ena e non da analfabeti come i nostri quadri del congiuntivo zoppicante, può assolvere ai suoi doveri di protezione dei più deboli, che richiedono produzione di ricchezza, una funzione sociale benedetta dei sistemi capitalistici della democrazia moderna a tutte le latitudini, Cina compresa (lo sapeva anche Marx che definiva lo sfruttamento capitalistico “un rapporto sociale di produzione” e non quell’idiozia populista alla quale lo riduce il gesuita purtroppo argentino). Una funzione sociale che Macron ha associato sfacciatamente e grandiosamente al destino dell’Europa come mercato unico transnazionale e alla sua moneta difesa dai francesi nel loro magnifico esprit commerçant.
Il denaro può certo essere l’orrore dell’avidità e dell’avarizia e dell’usura come nei romanzi di Dickens e di Hugo, come nei Cantos ermetici di Pound, ma se all’inizio dello sviluppo moderno e contemporaneo si è coricato con l’immagine della morte, dell’umiliazione, dell’esclusione, non bisogna mai scordare che in David Copperfield ci sono sì il taccagno arrampicatore del denaro Uriah Heep ma anche Wilkins Micawber, il sempliciotto indebitato che vendica David e finisce con successo ad allevare pecore in Australia mentre a Londra fiorisce l’amore (è la globalizzazione, bellezza, e non puoi farci niente). Il denaro è sexy, unifica il mondo, crea spazi, è amico della cultura, e della buona politica. Macron avrà molte cose di cui rendere conto a breve, ma il denaro non è tra queste.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.