Jean-Claude Juncker (foto LaPresse)

Ue al ballottaggio

David Carretta

Juncker non è più neutrale e tifa Macron. I numeri dell’europeismo in Francia (e molta prudenza)

Bruxelles. Il presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha compiuto l’inusuale passo di dichiarare apertamente il suo sostegno a Emmanuel Macron in vista del secondo turno delle elezioni presidenziali in Francia, il 7 maggio, contro Marine Le Pen. Dalla cocente sconfitta nel referendum francese sul trattato costituzionale europeo del 2005 la commissione, prima con José Manuel Barroso e poi con Juncker, aveva applicato una rigida politica di “neutralità” nelle contese elettorali nazionali, comprese le consultazioni con enormi ripercussioni sull’Unione europea come quella del 23 giugno 2016 nel Regno Unito sulla Brexit. “La Francia è un paese centrale dell’Ue, è uno dei nostri paesi fondatori, è una delle nazioni che incarna tutti i valori su cui si fonda l’integrazione europea”, ha detto il portavoce della commissione, Margaritis Schinas: “Il presidente si è congratulato con Macron perché è il solo candidato che rappresenta questi valori”. Agli occhi di Juncker, nel ballottaggio del 7 maggio tra Macron e Le Pen, “si tratta di scegliere tra la difesa di ciò che l’Europa incarna e l’opzione che mira alla distruzione dell’Europa. Il nostro presidente pensava che fosse utile chiamare il candidato che ha difeso l’opzione favorevole all’Europa”, ha spiegato il portavoce di Juncker. Più che con un tentativo di salire sulla barca del vincitore, lo strappo alla regole della neutralità da parte della commissione si giustifica con l’incertezza del secondo turno.

 

Il candidato a dodici stelle domenica ha vinto, ha battuto tutti i populisti, ha sventato lo scenario da incubo di un ballottaggio tra sostenitori della Frexit (l’uscita della Francia dall’Ue voluta anche da Jean-Luc Mélenchon), nei sondaggi sul secondo turno ha un vantaggio di 20 punti su Le Pen e gode del sostegno ufficiale di socialisti e gollisti.

 

Ma la Francia del 2017 non è quella del 2002, quando Jean-Marie Le Pen (padre di Marine) venne stracciato da Jacques Chirac al ballottaggio con l’82 per cento grazie a un Front républicain antifascista mobilitato nelle piazze e nelle urne. Quindici anni di banalizzazione dei Le Pen pesano, così come di anti europeismo istituzionale mascherato da sovranismo da parte dei socialisti e, in misura minore, dei gollisti. Il 1° maggio di 15 anni fa, 1,5 milioni di persone aveva manifestato contro Le Pen nelle strade di Francia, mentre oggi la protesta sembra limitata a qualche decina di “casseurs” dell’estrema sinistra. Quello del 7 maggio sarà un referendum globalisti-nazionalisti, europeisti-antieuropeisti, liberali-illiberali: una replica dell’inatteso “No” al trattato costituzionale Ue del 2005. E, come scrive il Monde nel suo editoriale, nelle prossime due settimane Macron deve stare attento a non fare la fine di Hillary Clinton, la cui elezione era data per scontata contro Donald Trump.

 

Il calcolo dei voti

 

I numeri invitano alla prudenza. Le Pen ha preso 2,8 milioni di voti in più rispetto al padre Jean-Marie nel 2002 e 1,2 milioni in più di quelli conquistati dalla stessa Marine nel 2012. Certo, il 24,01 per cento di Macron è un successo straordinario visto che ha iniziato la sua avventura nell’aprile del 2016 come candidato indipendente contro i partiti dell’establishment e anti establishment, pronto a sventolare la bandiera europea in un’èra di anti europeismo. Molti leader europei del resto vogliono credere che, con i successi degli europeisti nelle elezioni in Austria, Olanda e Francia, l’annus horribilis della Brexit e di Trump si sia chiuso davvero nel 2016 e che l’onda nazionalista e populista abbia iniziato a rifluire.

 

“Trump, Farage e altri ci avevano spiegato che la rivoluzione era inarrestabile. Prima l’Olanda, ora la Francia non obbediscono”, ha scritto su Twitter l’ex leader dei liberaldemocratici britannici, Nick Clegg. Peter Altmaier, il capogabinetto della cancelliera tedesca Angela Merkel, ha detto che Macron dimostra che “Francia e Europa possono vincere insieme”. In altre parole, che l’europeismo non è incompatibile con i francesi. Tuttavia i dati mostrano la fotografia di una Francia ancora molto sovranista. Tra Le Pen, Mélenchon e candidati minori, il 48,4 per cento dei francesi domenica ha votato per un sostenitore della Frexit. E il restante 51,6 per cento non può essere definito ardente europeista. Una parte relativamente consistente degli elettori socialisti di Benoît Hamon, a cui è stato spiegato per anni che il problema della Francia è il lavoratore distaccato, saranno tentati dall’opzione Le Pen o più probabilmente dall’astensione. La smobilitazione dovrebbe essere ancora più forte nella destra gollista, con la Francia profonda che guarda con sospetto al cosmopolita Macron. L’elettorato popolare, che nelle settimane precedenti al primo turno aveva sgonfiato la bolla della Le Pen per gonfiare quella di Mélenchon, più che abbracciare Macron potrebbe tornare tra le braccia di Marine.