Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Macron, iconografia di una ciambella con il buco

Giuliano Ferrara

La cavalcata del patriota europeista è una gran notizia ma la sua hillarizzazione, seppure improbabile, è ancora possibile

Una ciambella col buco, di questi tempi, è una bella notizia. Emmanuel Macron ce l’ha fatta e, a meno di eventi imprevedibili (occhio!), potrebbe essere tra due settimane il presidente francese europeista, riformatore, mondialista, liberale. Roba forte e controcorrente, una sorpresa che si è in diritto di aspettare visto anche il funzionamento impeccabile dei sondaggi che avevano previsto tutto al millimetro in questo primo turno. Governare non sarebbe facile, la maggioranza delle successive elezioni politiche è incerta, ma l’inaudita disfatta simultanea di gaullisti e socialisti, costretti ad aggiogarsi al carro macroniano antifrontista e in piena crisi politica esistenziale, darà margini a un presidente che di poteri ne ha, e molti. Macron ha due sostegni politici notevoli in Gérard Collomb, sindaco di Lione del Ps e macroniano della prima ondata, e in Jean-Yves Le Drian, ministro della Difesa di Hollande e capo bretone, un altro talento riconosciuto e di sicura efficacia.

 

Però all’Eliseo deve ancora arrivarci. La Le Pen ha avuto un risultato deludente per la sua retorica del primo partito e per la sua logica di sfondamento, ma fino a un certo punto. I suoi voti sono tanti tanti, e il ballottaggio come sappiamo è tutta un’altra storia, i voti non si trasmettono per direttiva e conta il dibattito a due, conta la contrapposizione radicale di prospettive antagoniste. Fino a ieri pensavo a uno scenario da paura: il duello tra il banchiere Rothschild e la massaia Jeanne d’Arc, con la Francia d’en bas che guarda e giudica nel suo intimismo e nelle sue paure identitarie. Tremavo. Ora penso che a Macron può riuscire, aiutato dal piazzamento in testa al primo turno che gli dà consistenza e un forte effetto sorpresa, a imporsi come un patriota europeista contro un fronte nazionalista. Il suo partito della nazione oltre la sinistra e la destra, visto lo stato pietoso dell’una e dell’altra, ha dalla sua quello che è sempre stato un idolo della V Repubblica, l’incontro di un uomo e del suo popolo al di là dei partiti. E la storia della rovina economica e finanziaria implicita nella linea antieuro della cara Marine, che ai francesi bottegai piace né poco né punto, potrebbe essere determinante. Naturalmente resta in piedi il dubbio sul candidato dell’ottimismo in un paese un po’ cupo e pessimista, che avrebbe voglia in teoria di rovesciare il tavolo, ma il semplicismo apocalittico antipotere, antibanche, antimoneta, antitutto non pare al momento un’alternativa convincente. Anche se a quel francese su cinque che ha sognato Bolívar con Mèlenchon, ma guarda tu quanti sono i dreamers importanti per il risultato finale, non piace il presidente riformista, e la domenica elettorale cade in mezzo a un ponte in un paese cupo sì, ma vacanziero.

 

Quando vedi Macron in tv pensi a Dino Risi e a Nanni Moretti. “Nanni, spostati un momento, fammi vedere il film”, celiava il grande regista. “Macron, spostati un attimo, fammi vedere il presidente della Repubblica”. In effetti, almeno in chi per età ricorda il Generale con la sua voce baritonale, il suo impianto fisico, le physique du rôle, la sua maestosità pressoché regale, il suo profilo di uomo del destino e della storia, nasce un dubbio d’immagine su questo bravo ragazzo che ha studiato, e che quasi tutte le mamme vorrebbero per figlio, un superboyscout con “la testa da prima comunione” (quella carogna di Mélenchon l’ha definito così). Giscard poi, ma anche Pompidou, Mitterrand e perfino il nazionalpopolare Chirac, tutti i presidenti salvo gli ultimi in ogni senso, Sarkozy e Hollande, sapevano di Francia profonda, machiavellica o aristocratica o paysanne, ed era questo sapore l’ingrediente decisivo della loro presidenziabilità. Il giovane Emmanuel sembra piuttosto un senatore delle nuove leve nel Massachusetts, un campione dell’elitarismo e delle buone scuole con energia e precisione di tiro, d’accordo, ma pur sempre uno della noblesse d’Etat, un tecnocrate. La sua hillarizzazione è improbabile a questo punto, ma possibile.

 

Un dato da considerare è che hanno votato in tanti, la prevista disaffezione politica e civile non si è manifestata. La Francia, come e più dell’Italia, è in una situazione psicologica e sociale strana. I giornali e le tv, qui meno per la verità, c’è un giornalismo in crisi ma non disprezzabile, non grillesco e allarmista in automatico, come spesso da noi, qui giornali e tv raccontano il grande malheur français, il disagio, il malessere, l’incazzatura contro le élite, ma nella vita del paese i servizi funzionano alla grande, lo stato spende e assiste, la cultura è un motore fenomenale di identità e di benessere, e immigrazione, terrorismo, perdita di peso dell’agricoltura e dell’industria sottoposte alle normative di mercato europee e a una concorrenza talvolta sleale, ondate di correttismo politico che svuotano i programmi scolastici della loro grande passata autorevolezza, tutte queste cose alimentano una curiosa “insicurezza nella bambagia”, con effetti di grande confusione. 

  

Il paese non è in rotta, è in bilico, è un po’ in fuga da sé stesso. Hanno sempre preferito le rivoluzioni alle riforme, d’accordo, e il bonapartismo al governo parlamentare, ma anche qui è arrivato il banale quinquennato all’americana, con il contorno di primarie e debates. Come scrive Marcel Gauchet, è in crisi una democrazia che non sa come gestire il suo intrascendibile trionfo individualista nella politica, nel diritto e nei diritti, nella storia come movimento verso orizzonti nuovi che non si vedono più tanto bene. Ma il tipico e vero grande allarme tradizionale, che si riassume nel motto “la Francia si annoia”, non sembra proprio avere avuto presa. Mugugnando, gli chers compatriotes si sono, e ci siamo, parecchio divertiti.

 

Adesso ci sarà lo psicodramma dei gaullisti e dei socialisti che si spennano come polli, dopo l’umiliazione, ma intanto mentre Mélenchon recitava la parte del cattivo perdente, e lasciava ai suoi la scelta di coscienza di astenersi o addirittura di votare contro l’Argent Roi di Macron, il gaullista e il socialista esclusi hanno detto che voteranno Macron senza passione ma senza esitazioni. La tentazione di sbarrare il passo a Marine, per almeno la metà dei mélenchonisti con il codino e la birra sempre in mano, sarà fortissima. Non sono progressisti? Al parco del Luxembourg c’è il monumento a George Sand, la grande scrittrice dell’Ottocento francese che amò Musset e Chopin. E’ lì che noi padroni di cani e canuzze portiamo le creature a fare cacca e pipì. Nel più bel romanzo di George Sand, che era un idolo dei progressisti e una formidabile corrispondente di Gustave Flaubert, l’eroe positivo, il bovaro Germain, si rivolge così, alzando la voce, a una servetta di fattoria che ha chiuso la porta in faccia a Marie, una ragazza in fuga da un padrone cattivo, e a un bambino piccolo, le Petit Pierre: “E perché avete rifiutato di dar loro asilo? E’ un ben meschino paese quello in cui non si apre la porta al prossimo” (Lo stagno del diavolo). Marine è un’imprenditrice della paura vivace, ma i sondaggi più favorevoli per ora non la danno oltre il quaranta per cento nel confronto reazione-progressismo. E teniamo le dita incrociate pensando all’amico jihadista.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.