L'edificio del Gchq a Cheltenham (foto LaPresse)

Gli inglesi s'arrabbiano con Trump, noi non abbiamo intercettato per Obama

Paola Peduzzi

Nella mania di sorvegliare tutto, anche il microonde è un’arma nella guerra del presidente degli Stati Uniti con i fatti

Milano. Nella serie di commenti inusuali che stanno diventando quotidiana normalità, venerdì è arrivata anche la dichiarazione del Government Communications Headquarters (Gchq), l’equivalente britannico dell’Nsa americano: “Le accuse recenti fatte sui media dal giudice Andrew Napolitano sul fatto che al Gchq sia stato richiesto di ‘fare intercettazioni telefoniche’ contro l’allora presidente eletto sono un’assurdità. Sono del tutto ridicole e devono essere ignorate”. Le intercettazioni cui fa riferimento il Gchq sono quelle che, secondo quanto dice Donald Trump (e al momento lo dice soltanto lui), Barack Obama avrebbe ordinato durante la campagna elettorale presso la Trump Tower. Il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, aveva detto giovedì: “Non c’è alcun dubbio che siano state utilizzate delle tecniche di sorveglianza” e citando le dichiarazioni di Napolitano su Fox News (dove il giudice lavora come commentatore) Spicer ha aggiunto: Obama “non ha usato l’Nsa, non ha usato la Cia, non ha usato l’Fbi, non ha usato il dipartimento di Giustizia. Ha usato il Gchq”, l’intelligence britannica. Gli inglesi non l’hanno presa bene, hanno smentito tutto il dossier e così venerdì la Casa Bianca ha rassicurato il governo di Londra: non vi rivolgeremo più accuse di questo genere. La querelle con gli inglesi sembra sedata, ma la domanda iniziale no: Obama ha fatto spiare Donald Trump? E se sì, dove sono le prove? L’assenza di una risposta sta diventando un tormentone mediatico-politico che mette in dubbio la già debole credibilità del presidente americano. Ora sappiamo che il presidente degli Stati Uniti “has no facts”, non ha prove, non ha fatti, ha detto Anderson Cooper sulla Cnn, facendo fare un ulteriore salto al cortocircuito: dagli “alternative facts” ai “no facts”.

  

Da quando Trump ha accusato su Twitter Obama “bad and sick guy” di averlo intercettato, la Casa Bianca ha continuato a insistere che le prove ci sono, eccome. In un’intervista a Tucker Carlson su Fox News, Trump ha raccontato come si è costruito un sistema mediatico personalizzato, su Twitter, Instagram, Facebook, in modo da ovviare l’ostilità da parte dei media tradizionali, quelle “fake news” che non gli permettono di fare bene il suo lavoro: in un passaggio di questo monologo, dice che “se io tuitto due o tre o quattro o cinque volte al giorno, e per la maggior parte delle volte i miei tweet sono buoni, e io ci tengo che lo siano, se faccio un errore in un mese, questo qui – cioè l’accusa a Obama – non credo affatto che si rivelerà un errore”. Kellyanne Conway, guardiana del trumpismo, ha spiegato che ci sono tanti modi per intercettare quel che dicono altri, non è che dobbiamo immaginarci soltanto obsolete cimici, anche “un forno a microonde può essere tranquillamente una telecamera”. Ma l’Fbi dice che l’accusa non è vera e anche i presidenti repubblicani delle commissioni Intelligence di Camera e Senato dicono di non avere indicazioni di alcun tipo del fatto che quel che dice la Casa Bianca sia dimostrabile.

 

Gli scontri istituzionali a caccia di prove continuano, mentre molti commentatori – anche conservatori – dicono che la mancanza di sostanza in una dichiarazione del genere rende tossico anche il resto: se non è credibile questo, cosa sarà credibile? I “no facts” sono ancora peggio degli “alternative facts”. Ma non dandosi spiegazioni plausibili, i trumpologi si sono messi a studiare l’ossessione del presidente per la sorveglianza. Politico racconta “la cultura della paranoia” che si è instaurata nell’Amministrazione Trump: nessuno si fida di nessuno, e molti funzionari quando tornano a casa gettano lo smartphone del lavoro in un cassetto, per paura che possa essere utilizzato per intercettazioni, e nelle riunioni spesso tacciono, per paura che le loro dichiarazioni arrivino ai giornali – e poi bisogna spiegare, giustificare il leak. L’indefesso Spicer ha smentito che il clima sia così, ma Trump stesso non ha mai fatto mistero della sua mania di controllare tutto: sorvegliava i clienti dei suoi hotel, ogni tanto lasciava cadere nei suoi libri e nelle sue conversazioni di quel senatore “che ha passato qualche notte con la sua fidanzata ventenne” giusto per far sapere che lui aveva molte informazioni a disposizione, molto prima che le informazioni diventassero un’arma tanto affilata come ora. E la paranoia si spiega così: sospetti sempre che gli altri facciano esattamente quello che fai tu. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi