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Un tribunale fuori dalla storia

Redazione
La degenerazione intellettuale e mediatica è nella Commissione Chilcot, prim’ancora che nel suo rapporto. Giudici della guerra (anche in Iraq) sono Parlamenti ed elettori, non il senno del poi di queste élite della resa.

Il rapporto Chilcot ricostruisce a 13 anni di distanza e con il senno di poi (sempre che di senno si tratti) la genesi di una decisione politica, quella di partecipare alla guerra contro Saddam Hussein, assunta da un governo legittimamente eletto e che aveva ottenuto un mandato parlamentare. Che cosa significa emettere una “sentenza” storica e politica che diventa la base di una colossale operazione mediatica? Fu il successore di Tony Blair al numero 10 di Downing street, James Gordon Brown, a costituire la commissione di inchiesta, per dare una risposta alle polemiche successive alla seconda guerra irakena. Quella che voleva essere una furbizia dilatoria si è trasformata in una specie di tribunale di Norimberga, anche se non ci sono stati né crimini di guerra né aggressioni immotivate.

 

Al di là dei contenuti del rapporto, è assolutamente discutibile che una decisione politica, che risponde a una serie di condizioni specifiche, che viene assunta in tempi necessariamente rapidi nel corso di una crisi internazionale e di un preciso spirito del tempo, possa essere esaminata con uno spirito da entomologi e sezionata in elementi frammentari che solo la responsabilità politica può condurre a una conclusione, certamente opinabile, ma che non può essere ricondotta a una qualche normativa, peraltro assolutamente arbitraria.

 

Sul piano politico il rapporto è inappropriato proprio perché pretende di poter dare un giudizio su scelte maturate in un clima e in una situazione particolare, trattandole come se invece si trattasse di un’operazione di algebra combinatoria capace di produrre risultati univoci.

 

Sul piano storico, se si può, è anche peggio. Si prende un atto e si fa conseguire da questo tutto quello che è accaduto dopo, imputando a quel fatto l’origine di tutti i mali del mondo. Intanto nessuno può dire come sarebbe una situazione in cui la dittatura di Saddam avesse continuato ad agire indisturbata. Inoltre il terrorismo di matrice islamica era precedente alla guerra, come dimostrano le tragedie dell’11 settembre e di Mogadiscio, tra le altre. Solo l’autolesionismo occidentale può indicare nella sconfitta di Saddam il punto di origine di tutte le successive fasi del fondamentalismo e del fanatismo terrorista islamico. Costruire una ipotesi storica su queste basi friabili e, soprattutto, adottare un determinismo meccanicistico a fenomeni politici culturali religiosi e militari tanto complessi è un atto ideologico, non una operazione di chiarimento storico o giuridico. Il modo in cui dopo la vittoria su Saddam si è agito in quell’area, persino la fiducia ingenua nella democratizzazione, per esempio, possono essere considerati da qualcuno come degli errori che hanno influito negativamente sulla situazione successiva. In ogni caso è tutto da dimostrare che un medio oriente senza Saddam sia peggio di quello che sarebbe stato con Saddam rimasto al potere.

 

Si tratta di un giudizio politico estremo, quello di scegliere tra la guerra e il cedimento di fronte a una dittatura arrogante e pericolosa, che compete a chi ha il mandato politico e democratico di compierla, nel fuoco dello scontro. Surrogare questa drammatica scelta con le elucubrazioni a posteriori di saggi non responsabili è, appunto, una prova di irresponsabilità. Tutto per compiacere le élite della resa. 

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