La Commissione ha diffuso alcune linee guida ai suoi alti funzionari intimandoli di non avviare alcun negoziato informale con gli inglesi finché Londra non invocherà l’articolo 50 del Trattato Ue

Com'è la Brexit vista dalla bolla delle lobby a Bruxelles

Luca Gambardella
Il governo inglese inizia la sua ritirata silenziosa dalla capitale europea. Un vuoto colmato dalle società di consulenza: "Cosa dicono gli imprenditori inglesi? Ok, siamo fuori, ora vogliamo le condizioni migliori". Parlano Glenn Vaughan della British Chamber of Commerce e James Stevens di Fleishman Hillard

Bruxelles. Le divisioni politiche interne e la ricerca del nuovo premier tolgono a Londra tempo ed energie per seguire cosa succede a Bruxelles. Questa settimana erano in programma riunioni di alto livello sulle politiche energetiche europee ma il dipartimento britannico per l’Energia e il cambiamento climatico ha chiesto di posticiparle. Mentre il governo inglese comincia a ritirarsi in silenzio dalla capitale europea, la comunità imprenditoriale britannica di Bruxelles cerca di capire cosa avverrà adesso. Per James Stevens, vicepresidente di Fleishman Hillard – una delle più grandi società di consulenza d’Europa – lo “choc” e la “rabbia” iniziali hanno lasciato il posto a uno “stato di necessità” dove la parola d’ordine è “outcome”, risultato. “Nei primi dieci giorni dal voto sulla Brexit, le domande dei nostri clienti, grandi imprenditori e multinazionali del Regno Unito, sono pratiche. Vogliono sapere cosa cambierà nei regolamenti, nella loro applicazione, e come regolarizzare i dipendenti che intendevano assumere in Europa. Interessano garanzie sulla competitività e indicazioni su quanto peggiorerà la situazione in futuro”, dice al Foglio Stevens. Come molte altre società di consulenza di Bruxelles, la sua società ha messo in piedi una task force specializzata nel dare risposte ai clienti sulle conseguenze del “leave” per il settore pubblico e per quello privato. Per gli investitori britannici il governo inglese era considerato la lobby migliore di Bruxelles, ma dal voto a oggi Londra non ha fornito informazioni alle associazioni di settore. Un vuoto colmato dalle società di consulenza e dagli studi legali che ora prevedono un aumento del proprio giro d’affari. “Non resta che aspettare il nuovo governo perché la confusione passi. Molti dossier si sono fermati, come quelli sui trasporti e sull’energia. L’unica previsione plausibile è che la voce di Londra sarà meno forte”, dice Stevens, “mentre l’Ue vorrà dimostrare che il processo di integrazione continua e che il lavoro di regolamentazione riprenderà con più decisione di prima”.

 

“Il mondo dell’imprenditoria britannica era virtualmente per il ‘remain’. La decisione degli inglesi è stata un’altra e ora sono tutti focalizzati nel dire, ‘ok, siamo fuori. Come facciamo a rimanere competitivi?’”. Glenn Vaughan è il presidente della British Chamber of Commerce, una delle istituzioni più note a Bruxelles: “Le imprese britanniche cominciano a ideare piani B e pensano di spostare i propri quartier generali in Europa, soprattutto in Irlanda e Olanda dove il contesto politico e legislativo è più simile a quello britannico”, dice al Foglio. “Oltre a Vodafone anche i grandi istituti di credito con asset europei valutano se spostarsi”. Le conseguenze per la piazza finanziaria londinese potrebbero essere minime per i prossimi 15-20 anni, ma “c’è già chi guarda con interesse a piazze alternative, come Francoforte o Parigi”. Mentre continuano le fluttuazioni di azioni e valute, martedì il governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, ha detto che il paese va verso un “periodo di incertezza e aggiustamento”. Ma a Bruxelles la volatilità è una spia che indica “il rischio che l’economia, in un modo o nell’altro, peggiorerà. Per noi è essenziale capire quanto”, dice Vaughan.

 

Per funzionari europei e lobbisti britannici la preoccupazione resta legata ai tempi: “Chi deve premere il bottone è Londra, ma deve farlo il più in fretta possibile. Siamo per un’uscita rapida e abbiamo bisogno di ottenere le condizioni migliori per il nostro business: la permanenza nel mercato interno e la libera circolazione dei lavoratori, per noi che esportiamo servizi, sono vitali”. Il risultato è la tensione latente tra Bruxelles e Londra. La Commissione ha diffuso alcune linee guida ai suoi alti funzionari intimandoli di non avviare alcun negoziato informale con gli inglesi finché Londra non invocherà l’articolo 50 del Trattato Ue. Una strategia per mettere gli inglesi sotto pressione e che Vaughan definisce la “diplomazia del megafono”, dove ogni trattativa va condotta “nelle sedi ufficiali”. Se Londra vuole davvero ritirarsi da Bruxelles, conclude, dovrà farlo senza passare da “dietro le quinte”.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.