Federica Mogherini (foto LaPresse)

Incompatibilità e visione debole. Il grande rimpasto di Mogherini

David Carretta

Al posto di Manservisi e Le Roy sono stati nominati Panzetti e Schmid al Servizio di azione esterna. Ma le nuove nomine non rafforzano la politica estera dell'Onu.

Bruxelles. Federica Mogherini ha un problema con i suoi uomini. L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea in poche settimane si è disfatta di due stretti collaboratori, considerati come pesi massimi dentro la Commissione e negli ambienti diplomatici, sostituendoli con due donne competenti e più vicini a lei. A inizio maggio se n’è andato l’italiano Stefano Manservisi, il capogabinetto scelto da Mogherini a inizio mandato per la sua conoscenza della Commissione, in modo da potersi dedicare al contempo alla diplomazia globale e al retrobottega comunitario. Poi, mercoledì, sono state annunciate le dimissioni del francese Alain Le Roy, il segretario generale del Servizio di azione esterna diretto da Mogherini. Manservisi è andato a dirigere la Direzione generale per lo Sviluppo e la cooperazione internazionale (posto strategico da quando la Commissione ha deciso di riorientare le risorse finanziarie internazionali verso l’immigrazione). Le Roy ha motivato le sue dimissioni con “ragioni personali” (famiglia e salute). Ma in entrambi i casi diverse fonti raccontano di “incompatibilità”, “conflitti” e “divergenze” con Mogherini. L’Alto rappresentante non avrebbe tollerato l’autonomia di Manservisi nel gestire i suoi rapporti interni e esterni, né l’ambizione di Le Roy di fare politica estera invece di organizzare l’apparato diplomatico.

 

Da Roma non sono arrivate lamentele per la sostituzione di Manservisi, ex capogabinetto di Romano Prodi quando era alla testa della Commissione. Semmai qualcuno alla Farnesina ha alzato gli occhi per la nomina a capogabinetto di Fabrizia Panzetti, che ha un lungo passato come funzionaria all’Europarlamento (ma non alla Commissione) ed è legata all’Alto rappresentante da uno stretto rapporto di amicizia nato dentro il Pd. Panzetti è esperta di immigrazione, che con il migration compact per l’Africa è diventata una priorità per tutti. Il grande scandalo è invece scoppiato a Parigi, dove il Quai d’Orsay ha preteso un altro posto apicale per un francese. La nuova segretaria generale del Servizio di azione esterna è tedesca: Helga Schmid si aggiunge alla lunga lista teutonica ai vertici della burocrazia europea ma, contrariamente ad altri suoi connazionali, è una fuori classe. Consigliera di Joshka Fischer, alla testa dell’ufficio politico del ministero degli Esteri a Berlino per diversi anni, è stata Schmid a condurre i negoziati con l’Iran sin dai tempi della dimenticata Lady Ashton. Conoscenza tecnica, fiuto politico, ottimi rapporti con gli americani: Schmid è considerata da molti la persona “chiave” dell’accordo sul nucleare.

 

Nella lettera in cui ha annunciato il rimpasto, Mogherini ha spiegato che il Servizio di azione esterna è di fronte a “sfide incredibili” che non permettono “esitazione e incertezza”. A differenza di Manservisi e Le Roy, Panzetti e Schmid dovrebbero occuparsi più di dettagli ed esecuzione, consentendo così all’Alto rappresentante di avere il pieno comando della “policy”.  Ma l’avvicendamento non risolve il problema della debole politica estera di Mogherini, che nei prossimi giorni presenterà la “Global Strategy” dell’Ue. L’accordo con l’Iran non ha trasformato la Repubblica islamica in un docile partner per risolvere i conflitti alle porte dell’Europa. L’Asia è stata dimenticata. La crisi tra Russia e Ucraina è stata gestita dalla Germania. “Nei suoi lunghi discorsi, Mogherini trascorre più tempo a dire quali ministri ha incontrato che a delineare azioni e soluzioni”, dice un europarlamentare. La sua linea è quella del dialogo a tutti i costi: in Siria e altrove “la pace deve coinvolgere tutti gli attori internazionali, tutte le potenze regionali e tutti gli attori sul terreno, tutte le minoranze, tutti i partiti e perfino tutte le milizie”, ha detto Mogherini martedì a Oslo. Per l’Alto rappresentante l’opzione militare non è mai la soluzione. L’Ue semmai deve diventare come l’Onu: offrire “una forte voce per la pace” ed essere un “honest broker”.

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