Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

Dietro la disfatta di Corbyn c'è il film della sinistra anti sistema

Paola Peduzzi
Il Labour si divide tra i paladini del leader e gli urlatori che lo vogliono a casa. La resa dei conti. Il primo atto dell'implosione politica inglese.

Londra. “Dimettiti, dimettiti!”, hanno gridato alcuni parlamentari laburisti ieri ai Comuni, mentre Jeremy Corbyn, il loro leader, cercava di fare il capo dell’opposizione e diceva che non c’è un piano per gestire la Brexit e che questo caos è responsabilità dei Tory. Al momento, in realtà, si sono dimessi (quasi) tutti tranne Corbyn: venti ministri del governo ombra del Labour se ne sono andati, i parlamentari urlatori hanno lanciato la campagna #SavingLabour, liberiamoci di Corbyn, così possiamo rinascere e salvarci. Ma il leader non ha alcuna intenzione di mollare, e anche se, intervistato, non è riuscito a dire esplicitamente di aver votato “remain”, alimentando la tesi popolarissima per cui nel segreto dell’urna abbia votato secondo coscienza per la Brexit, Corbyn non intende farsi giudicare da nessuno.

 

Così, mentre ai Comuni si consumava il primo atto pubblico dell’implosione politica inglese – David Cameron si è ritrovato a difendersi dalle pressioni europee che vogliono un’apertura del negoziato immediata e brutale, ha ribadito che decide il governo, e ha ammesso la possibilità di elezioni anticipate – fuori da Westminster si organizzavano le “shock troops” rosse di Corbyn, come vengono chiamati gli attivisti di Momentum, un movimento nato nell’autunno scorso dall’iniziativa del fedelissimo consigliere corbyniano Jon Lansman, scudo contro gli attacchi liberali di quel pezzo di partito e di elettorato che vuole disfarsi di Corbyn. Secondo questi pretoriani, chi si ribella al leader deve essere allontanato: a giudicare dai commenti e dai cartelli il nemico è Tom Watson, vice di Corbyn che ieri ha avuto l’ardire di dire al capo che la sua leadership è sotto attacco, è diventato necessario contarsi.



Tom Watson (foto LaPresse)


Tra questi due eserciti scomposti e arrabbiati in modalità emergenza come tutto il Regno Unito, ancor più nell’europeista Londra e ancor più nell’europeista Westminster (sì, oggi abbiamo scoperto che è così), la sinistra inglese sta imparando che la coerenza ha un prezzo. Corbyn non ama l’Europa, vede nel progetto europeo l’esplicitazione di tutto quel che non funziona, dai trattati di libero scambio all’ingerenza liberale, nella sua retorica Bruxelles e Wall Street hanno lo stesso significato. Così la sua campagna referendaria è stata un disastro, così la sua incapacità di guardare oltre il suo steccato ideologico ha determinato l’insuccesso al referendum. Fingere unità laddove si coltivano le divisioni è arte difficile anche per un ribelle consumato come Corbyn. Ancora ieri Cameron ha sottolineato che il mancato coordinamento tra i due partiti principali ha indebolito la causa anti Brexit, facendola collassare (il premier è riuscito persino a fare una battuta rivolto a Corbyn, “e io che pensavo di aver avuto giornate terribili”, i Tory che da tempo non erano così calorosi verso Cameron hanno riso molto).

 

Ma il punto politico è un altro, ed è quello che ha segnalato Tony Blair nel suo commento sul New York Times – quel Tony Blair che da giorni compare sui giornali che sostengono la Brexit come uno che, dopo aver voluto esportare la democrazia ovunque, ora non accetta la democrazia nel suo stesso paese e vuole “boicottare la Brexit”. Blair dice che la politica ha bisogno di un nuovo baricentro che oggi ha la faccia di quel 48 per cento che non voleva la Brexit: molti parlamentari che vanno e vengono da Westminster si fermano nel prato della stampa lì davanti, si fanno intervistare riluttanti e dicono che va ritrovato il centro, che la polarizzazione del dibattito finisce per rendere i leader dei partiti tradizionali afoni e non rappresentativi. Certo, ma come si fa? Oggi è previsto un voto di fiducia su Corbyn, secondo i rumors di Sky News il 65-70 per cento dei laburisti voterà per la cacciata, nel parco rosso di #KeepCorbyn fuori dal palazzo si ride a sentire questo numero. Intanto la conta è iniziata.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi